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Dazi, dazi, dazi: l’(ansiosa) attesa di una maggiore chiarezza
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Global Fixed Income Bulletin
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aprile 07, 2025
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aprile 07, 2025
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Dazi, dazi, dazi: l’(ansiosa) attesa di una maggiore chiarezza |
Trattandosi di un bollettino mensile, ci soffermeremo sugli eventi di marzo, ma parleremo anche dell’andamento del mercato nei primi giorni di aprile, in particolare dopo la “Festa della Liberazione” annunciata da Donald Trump.
Marzo si è rivelato un mese complicato per gli investitori obbligazionari, sia per il diffuso aumento dei rendimenti globali, sia per la flessione accusata dagli attivi rischiosi.
In tutti i mercati sviluppati, in particolare in Europa, i rendimenti sono saliti. L’impennata è stata determinata dal governo tedesco, che ha varato un pacchetto di riforme in materia di spesa pubblica che consentirà di immettere centinaia di milioni di euro nell’economia nazionale. In seguito all’annuncio, il rendimento del Bund a 10 anni è salito di oltre 30 punti base (pb). Anche in altre regioni i rendimenti sono aumentati: nel Regno Unito la crescita è stata di 19 pb, in Giappone di 11 pb, in Australia di 9 pb e in Nuova Zelanda di 8 pb. Le curve dei rendimenti si sono mosse prevalentemente al rialzo nel corso del mese, con un irripidimento di 10 pb dello spread per i Treasury USA a 2 e 10 anni e di 9 pb dello spread a 10 e 30 anni.
I rendimenti dei titoli di Stato dei mercati emergenti (EM) sono stati disomogenei. In Brasile, Messico e Tailandia, i rendimenti a 10 anni sono scesi rispettivamente di 18, 14 e 10 pb, mentre in Ungheria sono aumentati di quasi 60 pb, con aumenti di 9 pb in Indonesia e 8 pb in Sudafrica. Il dollaro USA ha accusato una flessione di oltre il 3% rispetto a un paniere di altre valute, in particolare ha perso il 4,3% rispetto all’euro, il 7,3% rispetto alla corona svedese e il 7,1% rispetto alla corona norvegese.1
Gli spread del debito in valuta estera dei mercati emergenti sono aumentati, specificamente di 36 pb nel segmento high yield e di 6 pb nell’investment grade. Anche gli spread delle obbligazioni societarie dei mercati emergenti si sono ampliati, in particolare quelli del segmento investment grade (IG) denominato in dollari e in euro, che sono aumentati di 7 pb. Gli spread dell’high yield in dollari si sono allargati di 67 pb, mentre quelli dell’high yield in euro si sono allargati mediamente di 50 pb. Il tasso ipotecario statunitense a 30 anni è sceso di 17 pb al 6,77%. Nel corso del mese si sono ristretti sia gli spread dei mutui ipotecari sia quelli dei crediti cartolarizzati.2
Panoramica di aprile – Commenti sul mercato
Il 2 aprile, l’amministrazione Trump ha deliberato una nuova serie di dazi doganali, introducendo un’aliquota globale di base del 10% e aliquote più elevate per alcune regioni specifiche: 20% per l’Europa, 24% per il Giappone e un ulteriore 34% per la Cina (per la quale quest’anno l’aliquota totale arriva così al 54%). Tali valori sono stati determinati in base al deficit commerciale bilaterale di ciascun paese nei confronti degli Stati Uniti, anziché in base alle aliquote doganali vigenti sui prodotti statunitensi. Secondo alcune stime le ultime misure aumenteranno l’aliquota doganale effettiva in misura compresa tra il 18% e il 23%, un incremento significativo rispetto al 2-3% di inizio anno, segnando i livelli più alti dai primi del ’900.
I funzionari statunitensi hanno lasciato intendere che i dazi potrebbero essere ridotti se i partner commerciali si asterranno dall’effettuare ritorsioni o faranno concessioni in altri ambiti. La Casa Bianca ha dichiarato che “i dazi reciproci rimarranno in vigore fino a quando Trump non riterrà che la minaccia rappresentata dal deficit commerciale e dalla disparità di trattamento sottostante non sarà stata superata, risolta o attenuata”. La risposta globale all’ultima serie di dazi statunitensi sarà strettamente monitorata, anche se non è ancora chiaro come reagiranno le varie autorità. Prevediamo che la maggior parte dei paesi cercherà di negoziare con gli Stati Uniti senza attuare ritorsioni o punterà ad attuare misure di ritorsione senza inasprire inizialmente le tensioni. Le tempistiche di questi negoziati restano tuttavia incerte.
Sul fronte interno, i governi potrebbero anche cercare di mitigare l’impatto sulla crescita attraverso politiche fiscali. Per esempio, la Spagna ha già annunciato un piano di sostegno da 14,1 miliardi di euro per contrastare gli effetti dei dazi doganali, mentre a marzo la Germania ha deliberato un aumento significativo della propria capacità fiscale, per far fronte all’evoluzione delle politiche statunitensi. Secondo le attese, i dazi influenzeranno negativamente la crescita sia a livello globale sia, in particolare, negli Stati Uniti, dove finora era stata eccezionalmente forte. Si stima che negli Stati Uniti l’aumento implicito della pressione fiscale supererà il 2,5% del PIL, rappresentando la più grande stretta tributaria degli ultimi decenni, anche al netto di eventuali ritorsioni o altra risposta alle politiche americane.
Prevedibilmente, tale situazione produrrà una pressione al rialzo sull’inflazione statunitense e ricadute deflazionistiche altrove, a meno che non vengano applicati rilevanti dazi di ritorsione e che i tassi di cambio non subiscano una significativa svalutazione. Per le banche centrali europee e di altri paesi, questa concomitanza di fattori rafforza la tesi a favore di un ulteriore allentamento. Negli Stati Uniti, dove è presente una situazione ibrida di crescita debole e inflazione in aumento, la Federal Reserve si troverà a fronteggiare una situazione più complicata, dovendo in definitiva soppesare quale shock sia più dannoso.
Prospettive per il mercato obbligazionario
Ribaltando il proverbio, marzo è arrivato come un agnello e se n’è andato come un leone per i mercati finanziari. Qualsiasi discussione sulle prospettive per le economie, le politiche monetarie e fiscali e quelle relative ai tassi di interesse deve ora integrare l’epocale “Liberation Day”, ossia il 2 aprile, la data in cui l’amministrazione Trump ha annunciato i dazi. Come ampiamente riferito dai media, la portata dei dazi ha superato nettamente le attese, in quanto Trump ha aumentato le potenziali aliquote portandole a livelli suscettibili di superare quelli dei primi del Novecento. Persino gli analisti più pessimisti si aspettavano che i dazi medi statunitensi non superassero l’11% (rispetto al 2-3% del 2024). Prendendo per buoni i numeri di Trump, l’aliquota media dei dazi statunitensi salirà attorno al 20%, e potrebbe aumentare in caso di ritorsioni diffuse. La Cina, come previsto, ha già reagito, aumentando i dazi al 34% su tutte le importazioni statunitensi e limitando le esportazioni di terre rare. Naturalmente, la lettura meno pessimista è che queste misure siano un espediente dell’amministrazione statunitense per negoziare una riduzione dei dazi in cambio di una maggiore accessibilità per le merci statunitensi e/o di altri favori.
I dazi, così come attualmente previsti dall’amministrazione statunitense, assesteranno probabilmente un duro colpo alla crescita nazionale e globale e avranno un effetto fortemente inflazionistico, almeno negli Stati Uniti, profilando il rischio di stagflazione. In risposta a ciò, è probabile che seguiranno una serie di azioni sul versante delle politiche, tra cui un allentamento delle politiche monetarie e fiscali, misure di ritorsione commerciale, negoziati per la riduzione dei dazi doganali e misure di pacificazione. Purtroppo, a prescindere dalla risposta sul piano delle politiche, dato il livello di deterioramento sia della propensione al rischio sia della fiducia nelle decisioni delle autorità statunitensi, una recessione globale nel 2025 appare molto più probabile.
Per evitare un esito così negativo nel 2025, lo scenario deve cambiare in fretta. Ciò potrebbe essere possibile in Europa e in Giappone, e in misura minore in Asia, dove le politiche fiscali possono essere allentate in modo aggressivo, ma non così tanto negli Stati Uniti. Ai livelli attuali, i dazi riscossi ammonterebbero a oltre il 3% del prodotto interno lordo (PIL).3 Il precedente picco del gettito sui dazi si è attestato allo 0,5% del PIL e risale alla metà degli anni Trenta.4 Perché oggi è molto più alto? Per via della globalizzazione. Rispetto agli anni Trenta, il commercio globale è oggi molto più sviluppato e le importazioni rappresentano una percentuale molto maggiore dell’economia. Di fatto, le importazioni statunitensi superano i 3.000 miliardi di dollari annui.5 Ricordiamo che i dazi sono una tassa sui consumatori e sulle aziende statunitensi e rappresenterebbero il maggiore aumento della pressione fiscale dagli anni Sessanta a oggi. Riteniamo le ricadute di questa stretta preoccupanti e passibili di tradursi in un drastico inasprimento delle politiche di bilancio Le stime indicano una riduzione dell’1-2% del PIL, che porterebbe il tasso di crescita economica a zero o sotto lo zero.6 L’allocazione del gettito proveniente dai dazi, senza considerare le implicazioni inflazionistiche, sarà fondamentale per le prospettive economiche degli Stati Uniti. Purtroppo i cambiamenti nella politica fiscale sono in balia del Congresso degli Stati Uniti, che è bloccato in un processo di risoluzione del bilancio suscettibile di richiedere fino alla fine dell’estate per essere risolto. Se il gettito dei dazi venisse riciclato nei settori delle famiglie e delle imprese, gli effetti macroeconomici negativi potrebbero essere in qualche modo attenuati e ridurre la probabilità di recessione.
A proposito di politica monetaria: che dire? Prevedibilmente le ricadute inflazionistiche dei dazi annunciati eserciteranno una pressione al rialzo sui prezzi e complicheranno il lavoro della Federal Reserve (Fed). Le stime per l’indice dei prezzi al consumo (IPC) core vanno dal 3,5% al 5% per il 2025 e, come ha detto il presidente della Fed Jerome Powell il 4 aprile, la banca centrale deve assicurarsi che l’aumento dei prezzi, apparentemente una tantum, non alimenti in modo permanente l’inflazione, riducendo la capacità dell’Istituto di allentare la politica quantomeno nel breve termine. Inoltre, le indagini dell’Institute for Supply Management (ISM) evidenziano già i primi segnali di pressioni inflazionistiche sulle aziende sotto forma di un calo degli ordini, a riprova di un’incipiente stagflazione. Quindi, sebbene sia ragionevole aspettarsi che la Fed riduca i tassi di interesse nel caso di un indebolimento sostanziale dell’economia, a nostro avviso un indebolimento più modesto difficilmente indurrà un movimento dei tassi. Ci aspettiamo che la Fed adotti un orientamento attendista finché non se ne saprà di più, il che difficilmente avverrà prima di giugno, nella migliore delle ipotesi. Eventuali riduzioni dei tassi si verificheranno probabilmente nella seconda metà dell’anno.
Questa dinamica di stagflazione sembra più pronunciata negli Stati Uniti che nel resto del mondo. L’impatto sulla crescita economica è globale, ma le ricadute inflazionistiche si registrano prevalentemente negli Stati Uniti. Anche se la crescita statunitense dovesse rivelarsi negativa nel primo e nel secondo trimestre, l’inflazione probabilmente aumenterà in modo significativo. Un recente sviluppo positivo indiretto è rappresentato dal calo sostanziale dei prezzi dell’energia, a vantaggio dei consumatori (e delle aziende) statunitensi, che ha attenuato in parte lo shock inflazionistico provocato dai dazi doganali.
Anche nel resto del mondo la crescita subirà uno shock. Ma l’UE, il Giappone e la Cina sono grandi economie e dispongono di un margine di manovra fiscale adeguato per far fronte nei prossimi mesi a un indebolimento dell’economia con un allentamento fiscale aggressivo (soprattutto l’UE). E, anche se l’allentamento non dovesse essere attuato immediatamente, è probabile che le aspettative di un cambiamento delle politiche monetarie rafforzino la fiducia delle famiglie e delle imprese, sostenendo la crescita.
In sintesi, crediamo che il rischio di recessione sia aumentato ovunque. La buona notizia è che all’inizio di quest’anno i fondamentali economici globali si presentavano solidi. Ciò dovrebbe aiutare ad attutire lo shock. Gli Stati Uniti potrebbero riuscire a evitare una recessione, ma i segnali di pericolo abbondano. Le ritorsioni rappresentano un rischio di ribasso, così come i nuovi e forti cali della fiducia delle imprese e il conseguente deterioramento dei mercati del lavoro. Oltre ai fondamentali solidi, anche un allentamento potenzialmente aggressivo delle politiche monetarie in gran parte del mondo potrebbe fornire una compensazione. Purtroppo gli Stati Uniti, che sono l’epicentro dello shock, si trovano nella posizione meno agevole per gestirlo, per effetto dell’ingorgo causato dalle politiche fiscali e dall’impossibilità della Fed di intervenire (almeno per ora) davanti al rischio di un aumento dell’inflazione.
I rendimenti dei titoli di Stato hanno ricevuto un buon sostegno. I Treasury USA hanno ripreso la fase rialzista, mentre il mercato ribassista che a marzo aveva interessato i titoli europei si è trasformato in un mercato rialzista. I rendimenti sono scesi significativamente nel giro di poche settimane. L’entità di un loro ulteriore calo dipenderà dalle notizie in arrivo sul fronte dei dazi, dalle risposte alle politiche non riguardanti l’ambito doganale e dall’andamento dei listini azionari. Finora, i titoli di Stato si sono apprezzati e l’azionario ha perso terreno (svolgendo una funzione di diversificazione). Per molti settori azionari statunitensi, il calo dai massimi ai livelli attuali è stato considerevole, lasciando presumere che la fine di tale flessione potrebbe essere vicina, se dovesse cessare il flusso di cattive notizie. Ciò indicherebbe anche che il livello del 3,75% dei rendimenti dei Treasury USA decennali, vicino al minimo del 2024, sarà probabilmente difficile da superare a meno che non arrivino altre brutte notizie (come l’inasprimento delle politiche fiscali statunitensi e l’escalation dei dazi). Siamo leggermente sovraesposti al rischio di tasso d’interesse e al mercato creditizio, ma manteniamo una bassa esposizione al rischio rispetto ai valori storici.
Gli spread creditizi, che avevano già cominciato ad ampliarsi a marzo, hanno seguito la scia dei titoli azionari e ora stanno sottoperformando a ritmo sostenuto. È probabile che le notizie sul fronte dei dazi continuino a creare tensione, ma i fondamentali del credito erano discreti prima di questa crisi, nonostante le valutazioni elevate. Sebbene le economie stiano rallentando, l’assenza di squilibri nel settore privato indica che dovrebbero essere in grado di assorbire parte dello shock. Ad esempio, la quota di emittenti BBB- negli indici di credito investment grade è ai minimi storici.7 I rendimenti all-in delle obbligazioni societarie statunitensi investment grade si aggirano ancora intorno al 5-5,5%, un rendimento nominale e reale interessante finché l’inflazione non tornerà, per quanto lentamente, ai livelli osservati di recente. Infine, durante i periodi di crisi il comportamento delle imprese tende a diventare più conservativo e questo tende ad avvantaggiare i creditori. Ciò lascia supporre che gli spread potrebbero non raggiungere i massimi osservati nei precedenti periodi di recessione. A un certo punto, facendo le dovute differenze tra i vari settori, ci aspettiamo che le obbligazioni societarie diventino un investimento più interessante. Abbiamo una lieve predilezione per i titoli investment grade in euro, data la maggiore flessibilità della politica monetaria e fiscale dell’UE nel rispondere allo shock doganale. Il mercato high yield è più vulnerabile, ma gli spread non dovrebbero raggiungere livelli recessivi. Inoltre, c’è sempre la possibilità che, come ritiene gran parte degli investitori, i dazi attualmente proposti vengano negoziati al ribasso nei prossimi mesi. Nondimeno, il danno è già stato fatto e le prospettive sono meno positive rispetto al passato, data l’enorme incertezza creata dall’agenda economica dell’amministrazione statunitense.
Rispetto ad altre classi d’investimento, i titoli cartolarizzati e i titoli garantiti da ipoteche (MBS) statunitensi di agenzia hanno risentito in misura minore della recente volatilità e rimangono la nostra sovraesposizione preferita. La recente sovraperformance di questo settore rispetto al credito societario ne ha però lievemente ridotto il valore relativo. Ciò nonostante, in questo periodo segnato da un’elevata incertezza economica il credito cartolarizzato non risente degli stessi problemi del segmento societario statunitense. Alla luce dell’attuale clima di instabilità e incertezza in tutto il mondo, riteniamo che questo segmento possa continuare a registrare buone performance.
Nei mercati valutari, per certi versi paradossalmente, il dollaro statunitense si è indebolito in risposta al lancio dei dazi da parte di Trump. L’imposizione di dazi sulle merci in arrivo negli Stati Uniti avrebbe dovuto favorire il biglietto verde incoraggiando altri paesi a lasciare che le loro valute si deprezzassero per compensarne gli effetti. Sembra che stia accadendo l’esatto contrario. Paesi come la Cina sono irremovibili nelle proprie convinzioni e hanno resistito al deprezzamento valutario, cercando di compensare l’effetto dei dazi con interventi di politica fiscale, mentre l’Europa, contrariamente al parere degli scettici, ha annunciato piani di espansione fiscale senza precedenti. L’effetto combinato di queste diverse politiche è stato, almeno per il momento, un indebolimento il dollaro, poiché in questo ambito gli Stati Uniti sembrano andare nella direzione opposta, adottando politiche fiscali più rigorose e politiche monetarie più accomodanti. Impossibile dire quanto a lungo tale situazione possa durare e tutto dipenderà dall’attuazione delle diverse politiche nei vari paesi. Certamente, siamo diventati meno convinti della direzione che stanno prendendo le valute e preferiamo assumere una posizione attendista durante questo periodo di transizione.
Tassi d’interesse/Tassi di cambio dei mercati sviluppati
Rassegna mensile
Dopo un primo rialzo, a marzo i tassi d’interesse dei mercati sviluppati sono calati per effetto della debolezza esibita dai mercati degli attivi rischiosi, in seguito all’aumento dei timori per i dazi doganali. I dati economici – in particolare quelli emersi dalle indagini – hanno evidenziato un peggioramento del clima di fiducia sia tra i consumatori che tra le imprese, unitamente a un aumento delle aspettative di inflazione, soprattutto negli Stati Uniti. In occasione della riunione del FOMC di marzo, la Fed ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita e al rialzo quelle sull’inflazione, ma ha anche sottolineato che sul versante dell’economia le incertezze sono aumentate a causa delle incognite riguardanti le politiche in corso di attuazione. I dati, come il rapporto sull’occupazione di febbraio e le vendite al dettaglio, sono risultate meno negative. Tuttavia, l’attenzione dei mercati è rimasta rivolta ai rischi di ribasso per la crescita derivanti dall’incertezza delle politiche, dal calo dell’occupazione nel settore pubblico e dal peggioramento della fiducia.
Nell’Eurozona, i partiti tedeschi della CDU/CSU e della SPD hanno colto di sorpresa i mercati, concordando dapprima una proposta di legge per finanziare infrastrutture e difesa attraverso la costituzione di un fondo molto più grande dei 1.000 miliardi previsti, e poi facendola approvare dal parlamento tedesco, modificando anche le norme di contenimento del debito pubblico (che limitavano la capacità del governo su quel fronte). Tutto ciò ha comportato un aumento di circa 30 pb nei rendimenti dei Bund tedeschi a 10 anni nel giorno dell’annuncio. Si tratta della più grande variazione giornaliera da più di vent’anni a questa parte. Gli attivi rischiosi europei, però, hanno sovraperformato notevolmente quelli statunitensi, testimoniando un maggiore ottimismo verso un rilancio della crescita grazie all’espansione di bilancio. I timori per i rischi e la crescita globale hanno sostenuto i mercati dei titoli di Stato in generale, determinando un recupero del mercato dei Bund, che tuttavia ha accumulato un ritardo rispetto al rally dei Treasury statunitensi, nonostante le prospettive di inflazione nell’Eurozona siano migliori rispetto agli Stati Uniti. In Giappone, i dati hanno continuato a indicare una dinamica inflattiva più sostenuta e una crescita resiliente, spingendo al rialzo i rendimenti fino alla fine del mese, quando sono nuovamente calati per l’aumento dei timori relativi alla crescita e al commercio globale.
Sui mercati valutari, il dollaro USA ha continuato a indebolirsi per effetto di un restringimento dei differenziali dei tassi d’interesse e di una performance del mercato azionario statunitense inferiore alle attese. Le valute dei mercati sviluppati che hanno esibito le migliori performance sono state la corona norvegese e quella svedese, che hanno tratto vantaggio dal miglioramento della propensione al rischio in Europa.
Prospettive
Nei mercati sviluppati, Giappone escluso, abbiamo un sovrappeso di duration e restiamo esposti all’irripidimento della curva nei Treasury USA e nei Bund. Le obbligazioni con scadenza breve hanno un maggiore potenziale di rialzo se le prospettive di crescita dovessero peggiorare, poiché in caso di rallentamento della crescita le banche centrali potrebbero operare tagli più aggressivi, contribuendo a irripidire la curva. Tra i vari mercati, manteniamo un sovrappeso di duration in Nuova Zelanda e nel Regno Unito rispetto a Stati Uniti e Australia, perché riteniamo che le banche centrali dei primi due paesi abbiano margini di manovra più ampi per tagliare i tassi rispetto a quanto attualmente scontato nei prezzi. In Giappone, abbiamo recentemente aumentato l’entità del nostro sottopeso di duration, alla luce degli sviluppi positivi sul fronte dei salari e dei prezzi, e manteniamo una posizione lunga sui breakeven d’inflazione. Continuiamo a privilegiare il dollaro australiano e quello statunitense rispetto al dollaro canadese, e manteniamo anche un giudizio positivo sullo yen rispetto a varie valute, tra cui il won coreano e il dollaro statunitense.
Tassi d’interesse/Tassi di cambio dei mercati emergenti
Rassegna mensile
Nel mese di marzo la performance del debito dei mercati emergenti (EMD) è stata disomogenea. Nel complesso, le valute dei mercati emergenti si sono mosse al rialzo, mentre il dollaro USA, pur rimanendo forte in termini assoluti, ha accusato un indebolimento per la maggior parte del periodo. In continuità con i temi di febbraio, la politica estera degli Stati Uniti è stata volatile e la fiducia dei consumatori è rimasta precaria. Gli spread del credito sovrano si sono ampliati, ma nonostante il calo dei tassi dei Treasury USA, il segmento del credito sovrano della classe di attivo ha registrato una performance negativa. In Ecuador, dopo la situazione di forte equilibrio emersa dal primo turno delle elezioni presidenziali, il credito sovrano ha subito una flessione. Anche gli spread del credito societario si sono ampliati, ma in misura più contenuta rispetto al credito sovrano, mentre il calo dei tassi dei Treasury statunitensi ha favorito la performance. Dopo un primo rinvio dei dazi del 25% sui prodotti provenienti da Messico e Canada, le misure doganali sono entrate in vigore, salvo poi essere nuovamente rinviate. In Turchia, il presidente Erdogan ha fatto arrestare il sindaco di Istanbul, il suo principale oppositore, destando timori per l’ortodossia delle future politiche monetarie. La lira ha subito una brusca svalutazione inducendo la banca centrale a intervenire. Gli afflussi per questa classe di attivo sono passati in territorio negativo, sia per i fondi in valuta forte che per quelli in valuta locale.
Prospettive
Il debito dei mercati emergenti rimane una classe di attivo interessante, soprattutto se si presta attenzione ai fondamentali dei singoli paesi e ai paesi con rischio idiosincratico. I timori riguardanti la politica estera degli Stati Uniti e l’incertezza sui dazi continuano a causare volatilità nei mercati globali. Continuiamo a monitorare le possibili ricadute che i dazi potrebbero avere sui singoli paesi e prestiamo particolare attenzione alle politiche adottate da questi ultimi in risposta agli sviluppi sul versante doganale. Durante il mese, in diversi mercati sviluppati ed emergenti le banche centrali hanno operato un taglio dei tassi, lasciando invariate le opportunità nei segmenti di mercato dei tassi locali. Trovare opportunità d’investimento in paesi che sono più lontani o meno sensibili alla diffusa volatilità globale può offrire diversificazione e valore aggiuntivo.
Credito societario
Rassegna mensile
A marzo, gli spread dei titoli investment grade europei e statunitensi si sono ampliati di 7 punti base, mentre il mercato era alle prese con le incertezze legate ai dazi e alla guerra commerciale, dopo i nuovi annunci europei in materia di spesa pubblica. Le misure di spesa messe in campo dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, tra cui un fondo per le infrastrutture da 500 miliardi di euro, hanno rappresentato un significativo allontanamento dal conservatorismo fiscale della Germania, mentre la Commissione europea ha annunciato un ulteriore stanziamento di 800 miliardi di euro per la difesa. Sui dazi persiste l’incertezza, con aliquote del 25% su alluminio e acciaio e la minaccia di aliquote del 200% su vini e liquori europei. Anche le banche centrali non hanno mancato di attirare l’attenzione. La BCE ha ridotto i tassi di 25 punti base e, per voce della sua presidente Christine Lagarde, ha adottato un orientamento prudente. La Banca d’Inghilterra ha mantenuto i tassi invariati dopo un voto diviso in cui hanno prevalso i fautori di una politica monetaria restrittiva, mentre la riunione del FOMC ha messo in evidenza il clima di incertezza fornendo proiezioni economiche contrastanti. I dati economici sono risultati disomogenei: le aspettative dello ZEW (indice degli indicatori economici) tedesco sono aumentate, i dati degli indici PMI sono stati discordanti e i dati delle indagini statunitensi hanno evidenziato il timore di una stagflazione. È degno di nota l’andamento dell’inflazione, con un calo dell’IPCA europeo e un IPC core statunitense inferiore alle attese. Gli utili aziendali sono stati all’altezza delle aspettative, con margini consistenti e un indebitamento stabile. Per finire, nonostante il rallentamento degli afflussi, i fattori tecnici sono rimasti favorevoli e le emissioni primarie si sono attestate nella fascia più bassa delle aspettative.
La performance dei mercati high yield statunitensi e globali è diventata negativa a marzo a causa dell’elevata volatilità, dell’ampliamento degli spread e dell’ulteriore calo dei rendimenti dei Treasury statunitensi. La decisione presa a marzo dalla Fed di mantenere invariato il tasso di riferimento è stata a tutti gli effetti un non-evento e la previsione secondo cui nel corso dell’anno la banca centrale avrebbe operato due tagli dei tassi è stata rapidamente oscurata dalle crescenti aspettative di un numero maggiore di riduzioni, essendo aumentati i timori circa l’ampliamento della portata dei dazi e le conseguenze economiche potenzialmente disastrose nel breve termine. Durante la fase di volatilità il mercato high yield è rimasto ordinato e ha mantenuto livelli di domanda discreti; i volumi delle emissioni di marzo sono stati generalmente ben assorbiti dalla base di investitori. Il segmento del mercato high yield con rating più basso ha ampiamente sottoperformato su base sia assoluta che relativa, con il differenziale di spread medio tra i segmenti B e CCC a quasi 550 pb in chiusura di trimestre, in forte aumento rispetto ai poco più di 400 pb di fine gennaio.8
A marzo le obbligazioni convertibili globali hanno generato rendimenti negativi in parallelo ad altri asset rischiosi. Le performance deludenti dell’asset class sono state trainate principalmente dall’andamento della porzione statunitense, che ha subito l’impatto peggiore a causa dei timori legati ai dazi e alle loro potenziali conseguenze. Nel complesso, le obbligazioni convertibili globali hanno ampiamente sovraperformato l’azionario globale, mentre hanno sottoperformato l’obbligazionario globale. Le nuove emissioni hanno continuato la marcia iniziata a febbraio, toccando a marzo il livello più alto da maggio 2024. I volumi sul mercato primario sono stati trainati principalmente dagli emittenti statunitensi, ma anche Europa e Asia, Giappone escluso, hanno registrato volumi salutari di emissioni mensili. In totale, nel periodo sono stati emessi titoli per USD 13,3 miliardi, che portano il totale delle emissioni da inizio anno a USD 22,8 miliardi.9
Prospettive
Guardando al futuro, il nostro scenario di base sul credito resta ottimista, sostenuto dalle aspettative di un atterraggio morbido, da una politica fiscale che continua a sostenere crescita/occupazione/consumi e da fondamentali aziendali solidi, basati su strategie societarie a basso rischio. L’emissione netta gestibile e la forte domanda del rendimento complessivo offerto dal credito IG dovrebbero creare dinamiche tecniche propizie. Guardando agli spread creditizi, riteniamo che il mercato offra del valore ma riteniamo che il principale fattore di rendimento sia il carry e che ulteriori guadagni possano venire dalla selezione settoriale e, in misura crescente, da quella dei singoli titoli. Data l’incertezza del quadro dei fondamentali a medio termine, nutriamo una minore fiducia in un sostanziale restringimento degli spread.
Con l’inizio del secondo trimestre, continuiamo a essere cauti sul mercato high yield. Queste prospettive tengono conto dell’evoluzione dinamica e incerta delle politiche commerciali, tributarie e di immigrazione, dell’aspettativa di un’inflazione più tenace, di un rallentamento della crescita economica con maggiori probabilità di recessione e di un’elevata volatilità. I rendimenti rimangono interessanti in chiave storica e lo spread medio del mercato high yield, pur essendo superiore di oltre 95 pb ai minimi post-crisi finanziaria toccati a gennaio, rimane suscettibile di un ulteriore allargamento. Siamo giunti a questa conclusione dopo un’analisi approfondita di fattori quali l’evoluzione delle politiche monetarie delle banche centrali mondiali, la crescita economica statunitense e globale, la salute dei consumi, i fondamentali degli emittenti high yield, le condizioni tecniche e le valutazioni. In definitiva, riteniamo che la cautela sia giustificata e ci aspettiamo che i prezzi arrivino a scontare queste condizioni in maniera più completa, in particolare nei segmenti dei titoli con leva, più problematici e caratterizzati da rating più bassi.
Rimaniamo ottimisti circa le prospettive del mercato globale delle obbligazioni convertibili in queste prime settimane del secondo trimestre. Le obbligazioni convertibili hanno mantenuto il loro profilo bilanciato e hanno generato rendimenti totali positivi in un primo trimestre volatile. Data la sua natura di minimo obbligazionario, riteniamo che questa classe di attivo rimarrà un ambito interessante per allocare il capitale in quello che crediamo sarà in futuro un ambiente volatile. Per finire, riteniamo che le emissioni primarie accelereranno, nonostante un primo trimestre deludente. Le imprese dovranno continuare a bilanciare il fabbisogno di finanziamenti con tassi d’interesse relativamente elevati e con l’evoluzione delle politiche monetarie messe in atto dalle banche centrali globali.
Prodotti cartolarizzati
Rassegna mensile
A marzo, gli spread degli MBS di agenzia a cedola corrente si sono notevolmente ampliati in linea con gli altri mercati obbligazionari. Sempre a marzo, gli spread si sono allargati di 12 pb, raggiungendo i 144 pb al di sopra dei Treasury statunitensi. Gli spread degli MBS di agenzia rimangono ampi, sia rispetto ad altri settori obbligazionari core che in ottica storica. A marzo le posizioni in MBS della Fed si sono ridotte di USD 14 miliardi, scendendo a USD 2,18 miliardi, e sono ora USD 514,7 miliardi più basse rispetto al picco del 2022. A marzo, le posizioni in MBS delle banche statunitensi sono aumentate leggermente, a USD 2.670 miliardi: l’esposizione totale del settore bancario agli MBS è tuttora inferiore di circa USD 334 miliardi rispetto all’inizio del 2022.10 Dopo diversi mesi di costante contrazione, gli spread del credito cartolarizzato si sono allargati in linea con gli MBS di agenzia e con le turbolenze di mercato più in generale che hanno caratterizzato il mese di marzo. A marzo, è proseguito l’andamento dei due mesi precedenti, caratterizzato da forti emissioni. L’offerta è stata adeguatamente assorbita, ma gli spread sono stati spesso più ampi rispetto all’IPT, a causa della volatilità del mercato e degli spread generalmente più ampi.
Prospettive
Ci attendiamo un restringimento degli spread degli MBS di agenzia statunitensi, prevedendo un aumento degli afflussi da parte delle banche e degli investitori orientati al valore relativo, attratti dall’interessante profilo di rendimento di questo segmento rispetto ad altri settori dell’obbligazionario core. Se gli spread degli MBS di agenzia dovessero rimanere ai livelli attuali, ci aspettiamo un leggero allargamento degli spread del credito cartolarizzato che continuano a viaggiare a livelli relativamente vicini a quelli degli MBS di agenzia. Poiché aprile si apre all’insegna di rendimenti interessanti, riteniamo che nei prossimi mesi i rendimenti deriveranno principalmente dal carry dei cash flow. Restiamo del parere che i livelli attuali dei tassi rappresentino un problema per molti debitori e che continueranno a erodere i bilanci delle famiglie, mettendo sotto pressione alcuni titoli garantiti da collaterale (ABS) basati sui consumatori, in particolare quelli che riguardano debitori con redditi bassi. Anche il settore immobiliare commerciale continua a risentire dei tassi di finanziamento attuali. Il settore dei titoli garantiti da ipoteche residenziali è per ora, a nostro avviso, quello che offre le opportunità più interessanti in tutte le fasce di rating, mentre siamo più cauti nei confronti degli ABS e dei CMBS con rating più basso. Rimaniamo ottimisti sulle valutazioni degli MBS di agenzia, che restano interessanti rispetto agli spread delle società investment grade e ai loro spread storici.