Approfondimenti
Che fine hanno fatto tutti i rendimenti?
|
Global Fixed Income Bulletin
|
• |
luglio 16, 2021
|
luglio 16, 2021
|
Che fine hanno fatto tutti i rendimenti? |
L’andamento di giugno si è rivelato totalmente diverso da quello di maggio. Senza dubbio è stato un mese memorabile per la costante discesa dei rendimenti, il restringimento dei differenziali creditizi e il rialzo delle azioni malgrado i flussi di dati e notizie negativi. Quando gli indicatori economici e i risultati aziendali sono positivi è logico che mercati obbligazionari e azionari generino buone performance. Ma se a livello macroeconomico le prospettive sono buone e apparentemente destinate a mantenersi positive per almeno un altro anno, perché i rendimenti scendono? Il motivo è legato alle aspettative, al posizionamento degli investitori e alla Federal Reserve (Fed). E, cosa forse più importante, la ricerca di rendimenti in un mondo dove scarseggiano.
Il principale evento di giugno è stata la riunione di metà mese del Federal Open Market Committee della Fed. In quell’occasione la banca centrale statunitense ha segnalato (attraverso il suo “dot plot”) un rialzo dei tassi ufficiali nel 2023 con un’aspettativa mediana di due interventi da parte dei membri del Comitato, dunque prima di quanto comunicato nella riunione di marzo. Anche se il presidente Powell ha cercato di minimizzare il significato del cambiamento del “dot plot”, affermando che le stime sulla politica monetaria della Fed non cambieranno sino a quando il FOMC non avrà visto “nuovi e sostanziali progressi” e che “l’inizio del ciclo di inasprimento è ancora molto lontano”, vari fattori, tra cui il tono della conferenza stampa, il numero di membri del FOMC che hanno anticipato le aspettative per una prima stretta e l’accento restrittivo delle dichiarazioni rilasciate dal presidente Kaplan della Fed di Dallas e da Bullard della Fed di St. Louis, hanno convinto il mercato che l’orientamento delle autorità monetarie è sostanzialmente cambiato. Forse il FAIT (Flexible Average Inflation Targeting) è già una realtà!
Le ripercussioni davvero degne di nota della riunione della Fed si sono manifestate sulla forma della curva dei rendimenti e sulle aspettative inflazionistiche negli Stati Uniti: nelle 48 ore successive alla riunione (tenutasi da mercoledì a venerdì), i rendimenti dei Treasury a 30 anni sono scesi di 19 punti base (pb), mentre quelli dei Treasury a 5 anni hanno perso solo 2 pb. Questa dinamica non tiene conto della vera volatilità, in quanto i mercati hanno scambiato in maniera caotica dopo il comunicato stampa di mercoledì 16 giugno. Una simile flessione dei rendimenti a lunga scadenza e un tale appiattimento, o distorsione, della curva sono estremamente anomali prima che la Fed non abbia iniziato ad aumentare i tassi. Per giunta, nella seconda metà del mese, la curva dei rendimenti prospettici tra le scadenze a 5 e 30 anni è scesa quasi a zero, fenomeno che storicamente si è verificato solo quando la Fed era giunta quasi alla fine della fase di inasprimento! Inoltre, sebbene la Fed non abbia lasciato intendere di voler aumentare la portata cumulativa della stretta durante il ciclo (ad esempio, il tasso terminale dei Fed Fund è rimasto invariato), il mercato ha ritenuto che dopo la riunione il tasso terminale sarebbe stato inferiore. Nonostante l’inflazione abbia sorpreso al rialzo, le aspettative inflazionistiche, misurate in base ai tassi di inflazione di pareggio statunitensi, hanno registrato un calo. Ma la cosa più sbalorditiva è l’aver osservato questa dinamica manifestarsi anche in altri paesi.
È palese che le mosse della Fed, per quanto inaspettate, non possedessero la forza necessaria per scatenare gli sviluppi che abbiamo osservato sui mercati. Altri fattori hanno contribuito al rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato. Ad esempio il posizionamento degli investitori, in particolare quelli speculativi; i timori di un rallentamento della crescita negli Stati Uniti; la diffusione della variante Delta e relative implicazioni; l’ipotesi che il tasso ufficiale neutrale (r*) possa essersi abbassato; e l’eccesso di liquidità e di risparmio. Riteniamo che i timori sulla crescita si placheranno; la variante Delta non devierà il percorso delle economie verso la normalizzazione, grazie al calo dei tassi di ospedalizzazione e mortalità dovuto ai maggiori livelli di vaccinazione. Inoltre è probabile che i fattori tecnici del mercato si stabilizzino (come hanno sempre fatto). D’altra parte, l’eccesso di liquidità/risparmio potrebbe risultare più duraturo del previsto e resta da vedere se r* si sia mosso in modo significativo, pur essendo difficile scorgere dati a sostegno di un tale cambiamento di prospettiva.
I mercati creditizi e azionari sono rimasti sostanzialmente immuni alle turbolente vicende dei mercati delle obbligazioni governative. I differenziali sia investment grade che high yield hanno continuato a comprimersi, apparentemente impermeabili alle altre forze in atto, toccando nuovi minimi. Se il mercato dei Treasury ha lanciato segnali di imminenti difficoltà, i mercati del rischio non hanno prestato ascolto. Poiché riteniamo che i dati economici resteranno positivi (significativamente sopra il livello tendenziale) e che l’inflazione non si rivelerà un problema, i timori del mercato circa una decelerazione della crescita e la possibilità che la Fed commetta un passo falso inasprendo prematuramente ci sembrano fuori luogo. L’economia mondiale va meglio.
Nota: performance in USD. Fonte: Bloomberg. Dati al 30 giugno 2021. Gli indici riportati hanno scopo puramente illustrativo e non intendono rappresentare la performance di un investimento specifico. Le performance passate non sono garanzia di risultati futuri. Per le definizioni degli indici si rimanda alla sezione successiva.
Nota: per variazione positiva si intende l’apprezzamento della valuta nei confronti dell’USD. Fonte: Bloomberg. Dati al 30 giugno 2021.
Fonte: Bloomberg, JPMorgan. Dati al 30 giugno 2021.
Prospettive per il mercato obbligazionario
Nonostante lo Sturm und Drang che ha scosso i mercati e il caotico susseguirsi di notizie del mese di giugno (inflazione, occupazione, difficoltà delle filiere produttive), non crediamo che sul piano degli investimenti vi saranno ripercussioni di rilievo, se non un calo dei rendimenti dei titoli di Stato privi di rischio fino ai minimi, in una totale assenza di ripensamenti in termini di fondamentali sulla traiettoria delle economie e sulle risposte a livello di politiche. Osservando la realtà dei fatti, constatiamo che le prospettive delle imprese e i sondaggi sulla fiducia si attestano su livelli elevati; l’occupazione è in forte crescita, così come la produttività (in cui non vi è alcun segnale di compressione dei margini) e l’economia (in termini di prodotto interno lordo); le politiche monetarie sono accomodanti (e le condizioni finanziarie negli Stati Uniti raggiungono vette sempre nuove di espansività) nonostante i timori che la Fed e altre banche centrali, in particolare quelle dei paesi emergenti, possano adottare politiche più restrittive; e anche le politiche fiscali sono accomodanti, almeno in Europa e negli Stati Uniti. Anche se gli interventi sul piano delle politiche non continueranno per sempre e negli Stati Uniti i sussidi di disoccupazione straordinari stanno lentamente giungendo a scadenza, i bilanci delle famiglie e delle aziende sono floridi come non mai (o quasi). Un’indicazione di tale prosperità giunge dal rapporto tra depositi e prestiti nei bilanci bancari: attualmente i depositi superano i crediti erogati! La necessità di prendere denaro in prestito è bassa. Inoltre, il tasso di crescita dei depositi è due volte quello dei crediti. I tassi di risparmio delle famiglie sono elevatissimi e costituiscono una formidabile fonte di finanziamento per gli acquisti negli anni a venire. Lo stesso dicasi per le aziende.
Tutto ciò solleva un interrogativo cruciale: i risparmi accumulati durante la pandemia verranno spesi? Quando gli stimoli pubblici giungeranno inesorabilmente a termine, la spesa del settore privato ne farà le veci? Molto probabilmente sì e ciò consentirà alla fase di espansione dell’economia di mantenere il proprio vigore (anche se a livelli inferiori a quelli registrati nel 2021) fino alla fine del 2022, spingendo l’economia statunitense a raggiungere il livello di piena occupazione verso la fine di quest’anno o all’inizio del prossimo. Le condizioni finanziarie degli Stati Uniti, mai così accomodanti, e l’evoluzione di quelle europee in senso analogo sembrano indicare che il ciclo economico è tutt’altro che prossimo alla fine. Anzi, visto il graduale rientro in ufficio dei lavoratori, pensare che la fine del ciclo sia imminente è un’idea del tutto scellerata.
Nonostante il rally in atto nei mercati del credito, riteniamo corretto mantenere un giudizio ottimista. I dati economici sono solidi (seppure in decelerazione, ma del resto il ritmo archiviato nel primo semestre dalla crescita statunitense è insostenibile) e lo stesso dicasi per i ricavi e i bilanci societari. Tutti questi fattori depongono a favore del settore nonostante le valutazioni elevate. Storicamente, i differenziali creditizi, sia investment grade che high yield, restano sulla fascia alta dei valori medi per periodi di tempo prolungati, specie quando la crescita economica è robusta e l’inasprimento monetario è ancora distante nel tempo. Inoltre, i rendimenti dei titoli di Stato restano negativi in gran parte del mondo, pertanto la caccia ai rendimenti è lontana dall’attenuarsi in maniera rilevante. D’altro canto, sarebbe un azzardo ignorare del tutto le valutazioni. Per questo motivo, continuiamo a raccomandare un approccio selettivo, ricercando le aziende che prospereranno nel mondo post-pandemia e che si asterranno da un eccesso di operazioni svantaggiose per gli obbligazionisti. In generale, ci aspettiamo che le società diventino un po’ più prudenti nella gestione del rapporto cash flow/bilancio dopo la scottante esperienza vissuta nel 2020 a causa della pandemia.
La corsa al rialzo dei titoli di Stato sta velocemente raggiungendo livelli troppo bassi per essere compatibili con una visione rosea del futuro. I rendimenti reali dei Treasury USA decennali sono tornati in prossimità del -1%, non lontani dai minimi toccati a maggio o persino all’apice della correzione di febbraio 2020. Sono livelli insostenibili, a meno che non si torni in un contesto di stagnazione secolare anche peggiore di quello vissuto prima della pandemia. Ciò potrebbe accadere qualora la pandemia di coronavirus avesse lasciato cicatrici permanenti nell’economia abbassando i tassi di crescita potenziali e dunque il tasso ufficiale neutrale al quale le banche centrali cercano di condurre gradualmente i tassi d’interesse. Per arrivare agli stessi tassi di crescita e inflazione prevalenti prima della pandemia, c’è bisogno di politiche monetarie più accomodanti. Si potrebbe parlare di nipponizzazione, uno scenario in cui i risparmi privati restano elevati. I governi lanciano i famosi soldi dall’elicottero (secondo l’impianto concettuale della MMT, la teoria monetaria moderna) e famiglie e imprese li fanno circolare depositandoli in banca. I rendimenti reali e l’inflazione sono bassi, il debito pubblico è elevato, l’occupazione è elevata, ma la crescita salariale è bassa e l’espansione economica anemica. Crediamo che negli Stati Uniti, in Cina e nei mercati emergenti le cose andranno diversamente (l’Europa è ancora un work in progress). Tuttavia, bisognerà monitorare attentamente il comportamento di autorità e privati per accertarsi che le politiche fiscali e monetarie non tolgano il terreno da sotto ai piedi alle economie e che il settore privato rimanga sufficientemente fiducioso sul futuro da incrementare la spesa e ridurre i risparmi insolitamente elevati (rispetto alle medie che si registrano in tempi normali). I rendimenti dei Treasury statunitensi decennali sull’1,2% appaiono troppo bassi e lo stesso dicasi per i rendimenti dei Bund decennali tedeschi, che sono scesi più in basso del -0,4%. La gestione della duration nella seconda metà dell’anno potrebbe essere fondamentale per generare rendimenti positivi.
In estrema sintesi, una strategia d’investimento incentrata sul proseguimento del contesto di bassi rendimenti nominali (e reali), sulla crescita solida (di produzione e redditi), sull’aumento dei tassi di vaccinazione e sulla stabilità delle politiche pubbliche resta valida. Benché sia difficile escludere che i rendimenti dei mercati sviluppati globali aumentino prima o poi, non dobbiamo essere troppo certi che ciò avverrà nel brevissimo termine, viste le dinamiche tecniche e di liquidità in atto (liquidità nel periodo estivo e, ovviamente, la “maledizione” di agosto, un mese in cui sembra sempre che in qualche parte del mondo le cose vadano storte). Gli spread creditizi dovrebbero rimanere ben supportati, ma le obbligazioni di maggiore qualità difficilmente registreranno un’ulteriore compressione degli spread. Eventuali ampliamenti potrebbero diventare delle opportunità d’acquisto viste le prospettive di medio termine. Gli attivi ciclici potrebbero continuare a sovraperformare, come hanno fatto i titoli a tripla C nelle ultime settimane e mesi. Alcuni mercati emergenti e i titoli cartolarizzati mantengono la loro attrattiva. Come abbiamo già avuto modo di spiegare, il dollaro resta il barometro dell’economia globale: un suo indebolimento è un segnale positivo, mentre un suo rafforzamento è da interpretare come un segnale negativo.
Tassi d’interesse e di cambio dei Mercati Sviluppati
Analisi mensile
A giugno i rendimenti dei titoli decennali sono diminuiti in tutti i paesi sviluppati, malgrado il continuo vigore dei dati economici e la volatilità contenuta. Negli Stati Uniti, la curva dei rendimenti si è notevolmente appiattita, dato che si prevedono ora rialzi dei tassi più vicini nel tempo rispetto a quanto inizialmente pronosticato dopo la svolta restrittiva delle dichiarazioni rilasciate dalla Federal Reserve (Fed) in occasione della riunione di giugno, ma il tasso di riferimento terminale, o neutrale, che adesso viene scontato è più basso. I tassi d’inflazione di pareggio statunitensi a 10 anni sono diminuiti nel corso del mese, benché siano proseguiti i timori degli investitori circa l’aumento dell’inflazione. Prendendo atto della costante accelerazione delle campagne vaccinali nell’UE, la BCE ha presentato un outlook più positivo per l’economia della regione in occasione della riunione di giugno. La Banca Centrale Europea ha rivisto al rialzo le stime relative al PIL e all’inflazione, al contempo giudicando transitorio l’aumento dell’inflazione. La Bank of England ha lasciato invariati i tassi e gli acquisti di attività in occasione della riunione di giugno, malgrado il rialzo dell’inflazione e la crescita del PIL superiore alle attese; poiché secondo i verbali del comitato non è previsto alcun aumento dei tassi ancora per diverso tempo, il mercato ha interpretato l’esito della riunione in termini espansivi.
Outlook
La discesa della curva epidemica, le campagne vaccinali e l’alta efficacia dei vaccini, gli imponenti stimoli fiscali americani, gli elevati tassi di risparmio, le riaperture e l’orientamento accomodante delle banche centrali sono tutti fattori che lasciano presagire prospettive economiche decisamente positive nella seconda parte dell’anno. Il piano di aiuti e di sostegni americano da 1.900 miliardi di dollari avrà effetti benefici sulla crescita 2021/2022 in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti. Il piano infrastrutturale che verrà discusso in autunno e che si aggirerà probabilmente sui 1.000 miliardi di dollari imprimerà ulteriore slancio all’economia statunitense e globale, nonostante la tendenza ascendente mostrata fino ad oggi dai rendimenti.
Pur non attendendoci un drastico arretramento dei mercati dei titoli di Stato, riteniamo che sussista il rischio di un aumento dei rendimenti, poiché le valutazioni sono attualmente notevolmente più alte rispetto a due mesi fa. Il recente andamento dei prezzi ha senso, in ottica fondamentale, solo se si ritiene che il tasso ufficiale neutrale, r*, sia calato considerevolmente nel periodo post-pandemia. Sebbene non si possa escludere che le cose siano andate così, ci vorrà del tempo per capire se è corretta una tesi anziché un’altra, e non vediamo nuovi dati che possano indurre gli investitori ad assumere una posizione ribassista sulla crescita a lungo termine. L’attuale accelerazione dell’inflazione sarà prevedibilmente temporanea, ma davanti alle aspettative di un aumento degli stipendi e di un aumento dell’inflazione sussiste il rischio che possa diventare più duratura. Il fatto che i rendimenti reali rimangano vicini ai minimi storici indica che le condizioni finanziarie restano molto accomodanti.
Tassi d’interesse e di cambio dei mercati emergenti
Analisi mensile
A giugno i mercati obbligazionari emergenti hanno prodotto rendimenti contrastanti. Il debito sovrano in valuta forte ha generato ottimi rendimenti, principalmente per effetto del calo dei rendimenti dei Treasury statunitensi. Anche le emissioni societarie dei mercati emergenti hanno terminato il mese in positivo secondo l’andamento dell’indice JPM CEMBI Broad Diversified e le obbligazioni ad alto rendimento hanno sovraperformato quelle investment grade. Le obbligazioni in valuta locale hanno registrato rendimenti negativi, a causa di un indebolimento delle valute emergenti rispetto al dollaro USA A livello settoriale, trasporti, petrolio/gas, TMT e utility hanno trainato il mercato, mentre immobiliare, finanza, industria e beni di consumo hanno sottoperformato.
Outlook
Rimaniamo generalmente ottimisti sulle obbligazioni dei mercati emergenti nelle prossime settimane a fronte della continua stabilità dei rendimenti dei Treasury USA, dei costanti progressi verso la riapertura dei mercati sviluppati e dell’accelerazione delle campagne vaccinali in diversi paesi emergenti.
Credito
Analisi mensile
Nel mese, i differenziali creditizi si sono ridotti sia nel mercato investment grade in euro che in quello statunitense. I mercati creditizi sono stati favoriti anche dal modesto rally delle azioni e dal calo della volatilità osservato nel mese. La sovraperformance dei certificati a più lunga scadenza ha fatto appiattire le curve dei rendimenti. L’offerta ha ripreso slancio in vista della pausa estiva, con collocamenti per USD 24 miliardi in emissioni societarie e USD 30 miliardi di titoli finanziari (di cui 10 miliardi in REIT), che hanno portato l’emissione lorda a USD 327 miliardi da inizio anno ad oggi.1
Prospettive di mercato
Rimaniamo ottimisti sui titoli di credito, che sono a nostro avviso sostenuti da alcuni fattori chiave. Innanzitutto, le aspettative di una ripresa economica nel 2021 sono confermate. Tutto ciò sarà agevolato dal costante supporto fornito dalle politiche monetarie e fiscali, a fronte di tassi ridotti e di un piano di allentamento quantitativo in grado di creare una domanda robusta. Ci aspettiamo che le aziende continuino ad adottare strategie prudenziali fino a che l’economia reale non si sarà normalizzata. Infine, ci attendiamo che la domanda di titoli di credito si mantenga vivace, se gli strumenti privi di rischio continueranno a offrire rendimenti reali e assoluti negativi.
Prodotti cartolarizzati
Analisi mensile
A giugno, si è assistito a una discreta attività sul versante delle nuove emissioni, a uno scenario più tranquillo sul mercato secondario e a una bassa volatilità. I tassi di interesse si sono mantenuti perlopiù all’interno di un intervallo ristretto, mentre la curva ha subito un forte appiattimento poiché le aspettative di un rialzo dei tassi da parte della Fed sono state anticipate.
Outlook
I fondamentali del credito restano robusti nei settori dell’edilizia residenziale e dei consumi, mentre gli immobili commerciali continuano a risentire delle ultime ripercussioni negative della pandemia. Manteniamo un orientamento positivo sulle prospettive dei mercati residenziali e del credito al consumo, ma più cauto sui titoli garantiti da ipoteche commerciali (CMBS).
CONSIDERAZIONI SUI RISCHI
La diversificazione non garantisce che verranno generati utili e non protegge dalle perdite in una fase di rallentamento del mercato.
Non vi è alcuna garanzia che l’obiettivo d’investimento del portafoglio sarà raggiunto. I portafogli sono esposti al rischio di mercato, ovvero alla possibilità che il valore di mercato dei titoli detenuti dal portafoglio diminuisca e che il valore delle azioni del portafoglio sia conseguentemente inferiore all’importo pagato dall’investitore per acquistarle. I valori di mercato possono cambiare quotidianamente a causa di eventi economici e di altro tipo (ad es. catastrofi naturali, crisi sanitarie, terrorismo, conflitti e disordini sociali) che influenzano i mercati, i Paesi, le aziende o i governi. È difficile prevedere le tempistiche, la durata e i potenziali effetti negativi (ad esempio la liquidità del portafoglio) degli eventi. Di conseguenza, l’investimento in un portafoglio può comportare una perdita per l’investitore. I titoli obbligazionari sono soggetti alla capacità dell’emittente di rimborsare puntualmente capitale e interessi (rischio di credito), alle variazioni dei tassi d’interesse (rischio di tasso d’interesse), al merito di credito dell’emittente e alle condizioni generali di liquidità del mercato (rischio di mercato). In un contesto di tassi d’interesse al rialzo, i corsi obbligazionari possono diminuire e dar luogo a periodi di volatilità e a maggiori richieste di rimborso. In un contesto di calo dei tassi d’interesse, il Portafoglio potrebbe generare un reddito inferiore. I titoli con scadenze più lunghe possono essere maggiormente sensibili alle variazioni dei tassi d’interesse. Determinati titoli di Stato americani acquistati dalla strategia, come quelli emessi da Fannie Mae e Freddie Mac, non sono garantiti dal “full faith and credit” (piena fiducia e credito) degli Stati Uniti. È possibile che in futuro questi emittenti non dispongano dei fondi per onorare i propri obblighi di pagamento. I prestiti bancari quotati sono soggetti al rischio di liquidità e ai rischi di credito tipici dei titoli con rating inferiori. Le obbligazioni high yield (dette anche “junk bonds”) sono titoli con rating inferiori che possono comportare livelli più elevati di rischio di credito e di liquidità. I titoli di debito sovrani sono soggetti al rischio di insolvenza. I titoli garantiti da ipoteche e da collaterale sono esposti al rischio di rimborso anticipato e a un più elevato rischio d’insolvenza e possono essere difficili da valutare e vendere (rischio di liquidità). Essi sono altresì soggetti ai rischi di credito, di mercato e di tasso d’interesse. Il mercato valutario è altamente volatile e i suoi prezzi sono influenzati da diversi fattori, tra cui la dinamica della domanda e dell’offerta di una determinata valuta, il commercio, i programmi e le politiche fiscali, monetarie e di controllo della valuta nazionale o estera e le variazioni dei tassi d’interesse nazionali o esteri. Gli investimenti nei mercati esteri comportano rischi specifici, quali rischi di cambio, politici, economici e di mercato. Investire nei Paesi Emergenti comporta rischi maggiori che investire nei mercati esteri in generale. Gli strumenti derivati possono amplificare le perdite in maniera sproporzionata e incidere significativamente sulla performance. Inoltre possono essere soggetti a rischi di controparte, di liquidità, di valutazione, di correlazione e di mercato. I titoli vincolati e illiquidi possono essere più difficili da vendere e valutare rispetto a quelli quotati in borsa (rischio di liquidità). A causa della possibilità che i rimborsi anticipati alterino i flussi di cassa sulle collateralized mortgage obligation (CMO), non è possibile determinare in anticipo la relativa data di scadenza finale o la vita media. Inoltre, il portafoglio potrebbe subire perdite qualora le garanzie collaterali sulle CMO o eventuali garanzie di terzi fossero insufficienti per onorare i pagamenti.