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La superiorità del premium price sul private label
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Global Equity Observer
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novembre 29, 2022
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novembre 29, 2022
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La superiorità del premium price sul private label |
I brand crescono quando riescono a insediarsi e a rimanere tra le mani e nelle menti dei consumatori. Questa disponibilità, sia mentale che fisica, crea un legame conscio e inconscio con l’acquirente. Consciamente, i brand presentano un’ampia gamma di caratteristiche, tra cui prezzo, qualità, efficacia e reputazione. Incosciamente, contribuiscono a rispecchiare e avvalorare gli ideali, le convinzioni, i principi e gli standard dell’acquirente. Di fatto, si insediano nel suo sistema di valori, influenzandone in ultima analisi il processo decisionale. Insieme, questi aspetti tangibili e intangibili caratterizzano il marchio. Si tratta di “incentivi” che i proprietari dei brand utilizzano per sostenere e sviluppare i propri brand nel tempo.
I brand affermati godono del chiaro vantaggio di disporre di un maggior numero di incentivi che li aiutano a mantenere e stimolare l’attenzione dei consumatori rispetto ai piccoli marchi o ai “marchi privati/marchi propri”. I marchi privati hanno un unico incentivo: il prezzo. I piccoli brand sono normalmente caratterizzati da un numero limitato di incentivi. Per loro, spesso non si tratta di offrire un prezzo competitivo (poiché l’assenza di economie di scala impedisce di applicare offerte scontate), quanto piuttosto di puntare su mercati locali estremamente di nicchia, spesso spiccatamente innovativi e con livelli di offerta e distribuzione limitati. Nella maggior parte dei casi, sono un “rumore residuale” rispetto ai brand globali saldamente affermati.
I grandi brand vantano semplicemente una portata fisica più ampia rispetto a quelli più piccoli o ai marchi privati. Dominano gli scaffali. Sono disponibili su molti più canali. E, soprattutto, sui canali digitali godono di una maggiore visibilità: chi arriva mai a pagina due di un sito web o di una lista della spesa online automatizzata? Il digitale non è uno scaffale sconfinato. È tutta una questione di dati e di dimensioni del brand. E chi dispone di dati e di un’ampia dimensione? I brand affermati. Chi conosce meglio il consumatore? I brand affermati.
Ma essere grandi non è tutto. Occorre anche essere appetibili. I gusti cambiano e le categorie evolvono. I brand richiedono non solo investimenti costanti, ma anche cure, innovazione e un marketing intenso. Dopotutto, se il supermercato medio dispone di 40.000 articoli tra cui scegliere, ma l’utente ne sta cercando solo 50 per il proprio carrello e ci impiega solo 13 secondi a scegliere, è chiaramente importante essere la prima alternativa in cima ai pensieri dell’acquirente (piano mentale) e che si presenta ai suoi occhi (piano fisico). Raggiungere questo risultato è la prerogativa di un brand che è sostenuto da ingenti investimenti.
A chi si rivolgono i brand? Se si utilizza la regola settoriale empirica del “20/50”, il 20% dei clienti genera circa il 50% delle vendite di un brand tradizionale. Questi clienti mostrano una frequenza di acquisto più elevata rispetto al restante 80% che rappresenta l’altro 50% del fatturato. Pertanto, aumentare la frequenza di acquisto per questa fascia più ampia è un elemento chiave della strategia pubblicitaria e promozionale.
Perché tutto ciò è importante? Nella situazione attuale, caratterizzata da rincari generalizzati e da un aumento del costo della vita a livello globale, i nostri clienti ci rivolgono spesso questa domanda: i brand affermati - che applicano prezzi maggiorati anche in presenza di alternative più economiche - non corrono il rischio che i consumatori li abbandonino per alternative più economiche, qualora esistessero?
L’aspetto più importante è la percezione del prezzo. Il consumatore si basa su questa equazione: prezzo + qualità = valore. Ciò che è davvero importante è il divario dei prezzi. Qual è il divario tra il prodotto di marca e l’alternativa? Qual è il premio pagato dal consumatore? Paradossalmente, in un mondo dove i prezzi tendono ad aumentare rapidamente, il divario solitamente non aumenta ma si riduce, rafforzando la proposta di valore del prodotto di marca. Questo perché, affinchè si mantenga un margine, l’alternativa più a buon mercato deve aumentare il prezzo in misura maggiore rispetto al brand affermato. Ad esempio, l’azienda A con un margine lordo del 25% deve aumentare i prezzi del 15% per compensare un aumento del 20% dei costi di produzione. Viceversa, l’azienda B con un brand di alta qualità e un margine lordo del 50% ha bisogno di aumentare i prezzi solo del 10% a fronte di un’identica inflazione dei costi di produzione.
Un altro svantaggio cui deve far fronte la concorrenza di qualità inferiore e con margini più bassi è l’incapacità di investire e innovare a un ritmo significativo. Queste società non possono permettersi di competere alla pari dei gestori di brand affermati, di grandi dimensioni e ben organizzati e devono pertanto limitarsi a subire i prezzi e seguire la scia delle innovazioni. A titolo di esempio, una delle aziende di cosmesi più importanti del mondo - che ha sede in Francia - vanta un margine lordo molto elevato, pari a circa il 70%. Il suo margine operativo è pari più o meno al 20%. Ciò significa che i costi operativi rappresentano approssimativamente il 50% delle vendite, offrendo a questa azienda la libertà e la flessibilità di allocare il 30% dei ricavi unicamente al marketing. Le società dell’indice MSCI World hanno mediamente un margine lordo del 30%. Se un’impresa media spendesse il 30% del fatturato in attività di marketing, probabilmente fallirebbe. Tale azienda di cosmesi non solo può permettersi di investire il necessario per soddisfare le esigenze del consumatore sul piano mentale e fisico - luogo giusto, premio giusto, prodotto giusto, posizionamento giusto - ma la struttura del suo conto economico le permette di costruire una fortissima barriera all’ingresso.
E’ normale che nei momenti di maggiore difficoltà economica, il consumatore assume decisioni sulla base del prezzo e come conseguenza la sua scelta potrebbe non ricadere su un prodotto di marca. Tuttavia è più probabile che il rischio di abbandono, in favore della scelta più economica, ricada sui prodotti di fascia di prezzo intermedia, caratterizzata da brand più deboli o dai marchi privati più costosi, piuttosto che su quelli di fascia premium.
Inoltre, a livello di portafoglio, è importante scegliere la più adeguata esposizione settoriale. I settori della cosmesi, della birra, degli alcolici, delle bibite e dei prodotti di nicchia per la casa presentano una correlazione più forte con la pubblicità, le promozioni e gli investimenti in ricerca e sviluppo e sono molto meno vulnerabili rispetto, ad esempio, ai generi alimentari o ai prodotti per il bucato, categorie che non solo presentano un minor potere di determinazione dei prezzi, ma devono anche misurarsi con la concorrenza agguerrita dei private label e dei discount sempre più evoluti.
Valutiamo positivamente l’opportunità a lungo termine costituita dal consumo nei mercati emergenti, paesi che vantano un solido attaccamento ai brand affermati grazie all’assenza di una consolidata e capillare rete di vendita al dettaglio, dove esiste già una solida tradizione per i brand e dove l’aspetto demografico è interessante, in quanto la popolazione è giovane, in crescita e interessata ai brand.
I risultati che abbiamo ottenuto quest’anno grazie alle partecipazioni nei brand più affermati dei beni di consumo primario, sono stati incoraggianti. Per di più, in un anno che si è rivelato molto difficile per il mercato in generale, è emersa la chiara natura difensiva del portafoglio, caratterizzato da società di beni di consumo primari, proprio come era accaduto in passato in momenti critici quali la recessione del 2001, la crisi finanziaria del 2008 e, più recentemente, il picco della pandemia Covid-19 nel 2020.
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Managing Director
International Equity Team
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Executive Director
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