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Diamo il via alla festa! Ma quanto durerà?
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Global Fixed Income Bulletin
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febbraio 17, 2023
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febbraio 17, 2023
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Diamo il via alla festa! Ma quanto durerà? |
Quante cose possono accadere in una manciata di giorni. Il 2022 si è chiuso su note ribassiste. Sia a dicembre, che su base annua, i rendimenti obbligazionari sono scesi in territorio negativo, e lo stesso ha fatto l’azionario statunitense. Ma soltanto 30 giorni dopo, a fine gennaio, il rendimento delle obbligazioni era al 4% e l’indice S&P 500, recuperando gran parte delle perdite di dicembre, era risalito di oltre il 4,5%. Di fatto, dopo l’impennata dei rendimenti del mese di dicembre, i mercati obbligazionari hanno fatto segnare un’inversione di rotta, calando altrettanto rapidamente a gennaio. I mercati non cambiano direzione così repentinamente senza un motivo, e in questo caso ce ne sono stati molti.
Per iniziare, il fatto che le banche centrali non abbiano tenuto alcuna riunione ha fornito ai mercati l’occasione di esaminare lo stato dell’economia globale e di valutare la situazione dopo gli aggressivi rialzi dei tassi effettuati nel 2022. Inoltre, a gennaio, le banche centrali non si sono espresse con toni restrittivi. Di sicuro, i ritmi e la portata rallenteranno, ha pensato il mercato. E il mercato ha avuto ragione: a inizio febbraio sia la Federal Reserve (Fed) americana che la Bank of England (BoE) hanno ridimensionato l’entità dei rialzi dei tassi, da 50 a 25 punti base (pb). Un simile sviluppo ha confermato non solo il consenso del mercato, ma anche l’idea che le politiche monetarie incideranno in misura meno negativa sulle economie e sui mercati nel 2023. Di conseguenza, la volatilità è calata, avvalorando l’idea che i premi per il rischio possano diminuire, favorendo gli attivi rischiosi. Con il calo della volatilità, il dollaro americano ha continuato a deprezzarsi, sia perché la necessità di ricorrere a beni rifugio è diminuita sia perché le prospettive economiche sono migliorate fuori degli Stati Uniti, in particolare in Europa e nei mercati emergenti.
In secondo luogo, i fondamentali si sono complessivamente mossi nella direzione giusta. Negli Stati Uniti l’inflazione è calata sensibilmente, e l’inflazione dei beni è stata negativa. Il mercato immobiliare statunitense ha continuato a indebolirsi. Le prospettive delle imprese, sintetizzate dagli indici ISM per il settore manifatturiero e dei servizi, hanno segnalato una netta recessione. E il mercato del lavoro è sembrato allentarsi, come evidenziano ad esempio la frenata dell’occupazione e della crescita dei salari, un tassello fondamentale per la riduzione dell’inflazione nel settore dei servizi. I rendimenti hanno raggiunto livelli che improvvisamente sembrano interessanti, soprattutto se i fondamentali continueranno a migliorare e a generare una delle circostanze più rare, ovvero un atterraggio “morbido” dell’economia. Si tratta di un profondo cambiamento rispetto al 2022, quando i mercati rimbalzavano come la pallina di un flipper tra timori di recessione e timori d’inflazione.
In terzo luogo, il timore di lasciarsi sfuggire qualche opportunità ha sicuramente giocato un ruolo importante, soprattutto perché i fondamentali sembrano finalmente aver registrato una svolta. Dopo la pessima performance finanziaria della maggior parte degli attivi nel 2022, la paura di non riuscire ad approfittare di una fase rialzista (o correzione di un mercato ribassista) deve essere stato ben presente nei pensieri degli investitori. Tutto sommato, la classe di attivo più performante (ad esclusione delle materie prime) è stata quella della liquidità denominata in dollari statunitensi. Non serve tanta immaginazione per ipotizzare che nel 2023 la comunità degli investitori avrebbe assunto un posizionamento lungo in questa classe di attivo. Pertanto, nel corso del mese, i fattori tecnici hanno svolto un ruolo importante nella fase di ripresa dei mercati. La copertura delle posizioni corte da parte degli speculatori e il ridimensionamento delle sottoesposizioni da parte degli investitori istituzionali e retail hanno contribuito a un rialzo dei mercati.
Riassumendo, gennaio è stato un mese eccezionale per i mercati finanziari. I timori e l’avversione che si erano manifestati a dicembre sono quasi del tutto scomparsi, consentendo all’obbligazionario, all’azionario e alle valute non statunitensi di mettere a segno un rally. Il costante calo della volatilità ha contribuito in modo determinante alla discesa dei rendimenti obbligazionari, al rally dei titoli azionari e al sostanziale restringimento degli spread creditizi. In effetti, l’unico modo per giustificare i rendimenti generati da queste attività è quello di ipotizzare uno scenario in cui il mercato era sia sottovalutato, che caratterizzato da vendite massicce, e con l’avvicinarsi di un atterraggio “morbido”, in grado di evitare la necessità di un ulteriore stretta monetaria da parte delle banche centrali.
Prospettive per il mercato obbligazionario
Vedendo come ha esordito il 2023, gli investitori non dovrebbero lasciarsi prendere da un eccessivo entusiasmo. La performance di gennaio è stata così eccezionale che, secondo noi, difficilmente potrà ripetersi nei mesi a venire. Pur non prevedendo una perdita del terreno guadagnato finora nel 2023 (perlomeno non una perdita eccessiva), una correzione e il range trading potrebbero essere in linea.
Il mercato ha oscillato tra l’idea che il rialzo dei tassi di 25 punti base, deliberato a febbraio dal Federal Open Market Committee (FOMC), sarà l’ultimo (o l’ultimo per qualche tempo) e l’idea che l’inflazione non è stata sconfitta e che nuovi rialzi saranno giustificati. Purtroppo i dati di febbraio hanno minato la tesi dell’atterraggio “morbido” che, congiuntamente al rally di gennaio dei mercati obbligazionari, genererà quasi sicuramente un consolidamento se non addirittura una modesta correzione dei rendimenti e degli spread.
Se i rendimenti degli investimenti privi di rischio e quelli dei titoli investment grade scenderanno ancora, l’inflazione dovrà continuare a rallentare, l’economia non potrà recuperare più di tanto e la Fed (e le altre banche centrali) dovranno interrompere il rialzo dei tassi d’interesse. Ma in nessun paese i dati indicano un allentamento del mercato del lavoro in grado di frenare la crescita dei salari e, di conseguenza, l’inflazione core del settore dei servizi. La crescita deve essere sufficientemente lenta da far rientrare l’inflazione, evitando così ulteriori rialzi dei tassi da parte delle banche centrali, ma certamente non in misura tale da causare una recessione. Non aspettiamoci che la Fed abbassi i tassi a meno che non si verifichi un aumento significativo della disoccupazione, vale a dire ben oltre il 4%, e a meno che l’inflazione non torni per conto proprio al 2%. Non sarebbe impossibile. Di fatto, è questa la previsione della Fed ma, fatto cruciale, la Fed stessa non prevede alcun taglio dei tassi.
Il parere dei mercati e delle banche centrali sui tassi d’interesse ufficiali terminali (o di picco) per ciascun paese non è più così divergente. Il dibattito principale verte adesso su quanto a lungo si manterranno a quel livello. E su questo punto le opinioni differiscono abbastanza: da un lato, i mercati sono generalmente fiduciosi/ottimisti che i tassi raggiungeranno il picco entro il primo semestre, per poi iniziare a calare verso la fine dell’anno e, in modo più consistente, nel 2024. La Fed ritiene che tale valore, pari a circa il 5%, sia probabilmente una soglia minima, mentre il mercato ritiene che non solo sia una soglia massima, ma che scenderà in modo significativo tra la fine del 2023 e il 2024.
Se la Fed ha fatto delle previsioni corrette, ovvero se l’economia statunitense si rivelerà più forte e/o l’inflazione rimarrà elevata, il mercato obbligazionario statunitense dovrà procedere a una correzione. Con ogni probabilità i rendimenti dei Treasury decennali statunitensi tornerebbero al 4% circa. La buona notizia è che lo sviluppo negativo consisterebbe, al massimo, in un aumento di 25 punti base. Si tratta di un aumento di gran lunga inferiore rispetto al 2022 e meno dannoso per i rendimenti, considerati i rendimenti di partenza più elevati (e i risultati già ottenuti nel 2023). Un’analisi simile è prevista per la maggior parte dei mercati obbligazionari dei paesi sviluppati.
In sintesi, i rendimenti dei titoli di Stato sono fermi in un range, per il momento. A metà dicembre e poi di nuovo a gennaio, i mercati si sono spinti ai minimi. Visto l’ottimo andamento del mercato del lavoro statunitense e la smentita della BCE all’interpretazione accomodante del rialzo dei tassi previsto per febbraio, è improbabile che nel breve periodo si rivedano quei minimi. Considerando le perduranti incertezze e il probabile, ancorché modesto, aumento della volatilità, riteniamo che per il momento sia opportuno assumere posizioni neutrali sul rischio di tasso d’interesse.
In termini di settore, manteniamo un forte ottimismo sulle opportunità offerte dal mercato del credito cartolarizzato. Avendo sottoperformato i mercati creditizi nel 2023, fa ben sperare in ulteriori guadagni alla luce della forte performance del credito. Il mercato cartolarizzato è costituito principalmente da titoli garantiti da ipoteche residenziali e commerciali, e da titoli garantiti da collaterale. I relativi rendimenti sono raddoppiati rispetto all’anno scorso e gli spread sono notevolmente più ampi rispetto ai mercati del credito societario (ad eccezione delle obbligazioni societarie con rating CCC). Riteniamo che le preoccupazioni nei confronti del mercato creditizio siano superflue, in quanto i tassi (per effetto della compressione degli spread o del calo dei rendimenti dei titoli di Stato) chiuderanno il 2023 al ribasso. Nell’ambito del credito cartolarizzato, privilegiamo i mutui residenziali non-agency, nonostante si prospetta un probabile calo dei prezzi delle abitazioni statunitensi nel 2023. I mutui agency dovrebbero sovraperformare i Treasury statunitensi, ma continuiamo a nutrire una certa preoccupazione nei confronti della domanda strutturale, visto l’inasprimento quantitativo operato dalla Fed e il calo della domanda da parte delle banche.
Nel 2023, il credito societario ha registrato una performance eccezionale, al punto che scorgiamo poco spazio per un ulteriore restringimento degli spread nel breve termine. Essendo gli spread dei titoli investment grade (IG) statunitensi vicini alle medie a lungo termine e, permanendo una notevole incertezza sulle prospettive economiche e politiche, riteniamo che non sia un buon momento per assumere un orientamento eccessivamente rialzista. Detto questo, i rendimenti assoluti appaiono soddisfacenti in un’ottica di lungo periodo, soprattutto se l’inflazione tornerà ai livelli target, e se la Fed non esagererà con le misure di irrigidimento, ovvero fermandosi con i rialzi intorno al 5,25%. I titoli investment grade in euro sembrano offrire un’opportunità migliore in quanto l’Unione Europea (UE) sta beneficiando di un calo dei prezzi energetici, di una politica fiscale espansiva e della riapertura della Cina. Questa combinazione dovrebbe essere favorevole anche per l’euro. Noi acquistiamo durante i periodi di ribasso.
Un’analisi simile supporta il credito high yield, pur comportando un rischio maggiore derivante da una possibile recessione nel 2023. Nel 2023 la performance è stata eccezionale e non potrà continuare allo stesso ritmo. Detto ciò, non intravediamo alcuna recessione nei sei mesi a venire e riteniamo probabile un calo dell’inflazione, con ricadute positive sui cash flow dei nuclei familiari e sulla domanda aggregata. È probabile che si verifichi un aumento, non esponenziale, dei tassi di insolvenza, e che il fenomeno abbia caratteristiche più idiosincratiche che sistemiche. Dal momento che gli indici high yield si attestano circa all’8%, crediamo che vi siano tuttora ampi margini per un modesto allargamento degli spread e per la generazione di rendimenti attorno al 5%, se non addirittura superiori. Prediligiamo emittenti con rating B ed emittenti CCC selezionati.
Con ogni probabilità il dollaro statunitense continuerà a subire pressioni nel 2023, nonostante i dati di gennaio sull’occupazione statunitense. Come accaduto per la maggior parte delle classi di attivo nel 2023, è possibile che anche il dollaro abbia accusato una brusca flessione, ma la sua traiettoria al ribasso dovrebbe riprendere non appena diventerà chiaro che l’economia degli Stati Uniti non gode di una buona salute. Le prospettive di crescita degli altri paesi si presentano migliori, con le rispettive banche centrali che presumibilmente aumenteranno ulteriormente i tassi. Inoltre, il dollaro appare tuttora sopravvalutato. Ma un ulteriore indebolimento potrebbe richiedere del tempo, soprattutto se la Fed dovesse confermare l’intenzione di NON tagliare i tassi nel 2023. L’obbligazionario dei mercati emergenti (ME) sta diventando sempre più interessante, con l’aspettativa di una sovraperformance dei mercati e delle valute locali. I differenziali di rendimento reali dei Treasury USA si attestano su livelli storicamente elevati. Come sempre, gli investitori devono tenere conto dei diversi rischi idiosincratici di ciascun paese. Quello dei paesi emergenti non è un mercato omogeneo. La riapertura della Cina dovrebbe rappresentare un aspetto positivo per i mercati emergenti e per l’economia globale.
Tassi d’Interesse/Tassi di Cambio dei Mercati Sviluppati
Rassegna mensile
All’inizio dell’anno i rendimenti hanno registrato un calo generalizzato, invertendo il breve sell-off di dicembre. Negli Stati Uniti, i dati hanno continuato a evidenziare un’inflazione elevata e un mercato del lavoro rimasto su livelli di piena occupazione. Tuttavia, hanno anche evidenziato che l’economia potrebbe iniziare a indebolirsi. L’indice PMI ha evidenziato livelli di contrazione, mentre le vendite al dettaglio si sono rivelate molto modeste. Per quanto riguarda i timori relativi all’inflazione, l’indice CPI è risultato in linea con le aspettative, ma ha evidenziato un nuovo miglioramento con un ulteriore calo rispetto ai livelli precedenti. Analogamente, l’Employment Cost Index è risultato inferiore alle attese, ma ancora su livelli elevati. In Nord America, la Banca del Canada ha operato una stretta di 25 punti base, in linea con le attese, ma ha dichiarato che molto probabilmente per il momento sospenderà ulteriori rialzi. I dati economici europei, che hanno sorpreso in positivo, contrastano con quelli degli Stati Uniti, e i dati sull’inflazione core dell’Eurozona sono apparsi solidi. Infine, la Banca del Giappone (BoJ), con una decisione che ha ampiamente confermato le aspettative, ha scelto di mantenere invariata la politica di controllo della curva dei rendimenti, con il risultato che i titoli di stato giapponesi hanno dapprima registrato un rally, per poi risalire a quasi 50 pb verso la fine del mese.1
Prospettive
Sebbene alcuni dati recentemente diffusi abbiano evidenziato i primi segnali di un possibile indebolimento, con l’inflazione che sta iniziando a scendere, permane una notevole incertezza sulla traiettoria futura dei tassi d’interesse e dell’economia. Riteniamo che, alla luce dei dati attuali, il mercato dei tassi si sia avvicinato al suo fair value. Tuttavia, i banchieri centrali sono stati molto chiari nella volontà di mantenere elevati i tassi d’interesse, e anche se l’aumento dell’inflazione continuerà a diminuire rispetto ai picchi raggiunti, i dati sul mercato del lavoro e sull’inflazione stessa continuano a indicare un surriscaldamento dell’economia. Dopo il rally di gennaio, il mercato spera ancora vivamente in un rapido calo dell’inflazione e sta scontando un considerevole taglio dei tassi da parte della Fed nei prossimi due anni, contraddicendo apertamente i messaggi inviati dalla banca centrale. Di conseguenza, sussiste ancora il rischio di un ulteriore, leggero rialzo dei tassi. Sul fronte valutario, l’anno scorso il dollaro statunitense ha beneficiato delle politiche restrittive della Fed e dei crescenti timori riguardo la crescita globale. Il trend, tuttavia, si è fermato alla fine del 2022 e ha proseguito l’inversione con l’inizio del 2023. In linea generale, a nostro avviso, vi è la possibilità che il dollaro continui a indebolirsi.
Tassi d’Interesse/Tassi di Cambio dei Mercati Emergenti
Rassegna mensile
Il debito dei mercati emergenti (EMD) ha continuato il forte rally di fine 2022 anche nel nuovo anno. Il dollaro statunitense ha continuato a indebolirsi, favorendo il rally di numerose valute dei mercati emergenti, in particolare quelle asiatiche. La riapertura della Cina, a seguito della drastica inversione delle politiche zero-Covid, favorirà probabilmente la crescita ed eliminerà alcune incertezze nella regione. In Perù, l’escalation delle proteste nel mese di gennaio, a seguito del tentativo di colpo di stato e dell’arresto dell’ex presidente Castillo, ha intensificato l’instabilità sociale del paese. Negli ultimi mesi del 2022 il quadro tecnico ha iniziato a risollevarsi, ma a gennaio abbiamo assistito a un significativo cambio di interesse da parte degli investitori nei confronti di questa classe di attivo. Sia i fondi in valuta forte che quelli in valuta locale hanno registrato afflussi di rilievo, rispettivamente per $5,8 miliardi e $1,9 miliardi. Tutti i fattori di rischio relativi al Debito dei Mercati Emergenti (EMD) hanno generato una performance positiva nel corso del mese.2
Prospettive
La classe di attivo è posizionata per proseguire il rally nel 2023. A nostro avviso, i tassi locali si presentano particolarmente interessanti, in quanto i differenziali sui rendimenti reali tra i mercati emergenti e quelli sviluppati continuano ad essere elevati. Un’ulteriore moderazione delle politiche monetarie da parte della Fed favorirà numerosi paesi dei mercati emergenti. Nel 2022 questa classe di attivo ha registrato deflussi record, ma nel quarto trimestre il clima di fiducia è mutato, riconfermandosi energicamente nel mese di gennaio, generando abbondanti flussi positivi sia per i fondi in valuta forte che per quelli in valuta locale. Ci attendiamo una prosecuzione degli afflussi, in quanto gli investitori stanno cominciando ad aumentare la componente di rischio dei loro portafogli. I fondamentali continuano a migliorare e le valutazioni rimangono attraenti, ma si osserva una notevole dispersione tra paesi e titoli di credito, per cui è di fondamentale importanza valutare tutte le opportunità in un’ottica bottom-up.
Credito societario
Rassegna mensile
Nel rally del mese, gli spread dei titoli IG europei hanno sovraperformato gli spread IG statunitensi, grazie al miglioramento del clima di fiducia e al robusto quadro tecnico che ha sostenuto il mercato (le aspettative di consenso sono passate da una leggera recessione a un atterraggio morbido). I fattori che hanno determinato la performance del mese sono stati il calo dell’inflazione, la svolta delle politiche cinesi in favore della crescita e gli utili societari del quarto trimestre, superiori alle aspettative.3
I mercati high yield statunitensi e globali hanno fatto il loro ingresso nel 2023 con una performance di tutto rispetto. Gli investitori hanno approfittato di rendimenti iniziali storicamente interessanti, se rapportati alla media, nutrendo crescenti aspettative di una prossima conclusione della campagna di rialzi aggressivi dei tassi da parte della Fed. A gennaio il rapporto tra domanda e offerta è stato favorevole grazie alla riapertura del mercato primario dell’high yield e al saldo positivo degli afflussi verso i fondi retail.4 I segmenti di mercato di qualità inferiore hanno generalmente sovraperformato, mentre i settori che nel mese hanno registrato i risultati migliori sono stati quelli utility del gas naturale, intermediazione, gestione patrimoniale, borse e società finanziarie.5
I titoli convertibili globali hanno iniziato l’anno col botto, favoriti dalla forte ripresa degli attivi high-growth, dal momento in cui gli investitori hanno iniziato ad aspettarsi un rallentamento generato dall’aumento dei tassi. A gennaio, la performance dei titoli convertibili globali si è collocata a cavallo tra quella dell’azionario globale e quella dell’obbligazionario globale, con il Refinitiv Global Convertibles Focus Index che ha generato il 4,76%. In termini di risultati, si è trattato del miglior mese per i titoli convertibili dal novembre 2020. La spinta al rialzo è derivata per gran parte dai principali fattori sottostanti - cioè i titoli azionari, gli spread e i tassi. L’unico fattore penalizzante per questa classe di attivo è stato il calo della volatilità, che in genere funge da copertura nei confronti dei mercati azionari, dove spesso la volatilità aumenta quando i titoli si muovono al rialzo e diminuisce quando i titoli si muovono al ribasso. Il mercato primario, tuttavia, è partito a rilento: sono stati quotati solo $2,4 miliardi di nuove emissioni.6
Prospettive
In prospettiva, secondo il nostro scenario di base l’investimento nel credito è remunerativo perché riteniamo che i fondamentali societari siano solidi e che il contesto macroeconomico migliorerà grazie ai cambi di direzione della politica monetaria e alla riapertura della Cina. Crediamo che le imprese abbiano accumulato riserve liquide grazie alle misure di riduzione dei costi introdotte durante la pandemia. Ci attendiamo una contrazione dei margini e una pressione sui ricavi, ma, dato il livello di partenza, crediamo che le società riusciranno a superare la crisi senza eccessivi declassamenti o insolvenze.
Il rally dei mercati obbligazionari high-yield di gennaio potrebbe proseguire nel breve termine, ma sembra probabile che finirà per svanire vista la portata della compressione che ha già interessato le valutazioni durante il mese di gennaio e i rischi che si profilano all’orizzonte.
Prodotti cartolarizzati
Rassegna mensile
A gennaio, gli spread degli Agency MBS e dei titoli cartolarizzati si sono ridotti. Gli spread del credito cartolarizzato hanno sottoperformato rispetto alla maggior parte delle obbligazioni societarie, a causa della contrazione registrata nel quarto trimestre; tuttavia continuano a risultare interessanti in termini di valore relativo. L’offerta di nuove emissioni cartolarizzate rimane molto bassa, poichè la sottoscrizione di prestiti sia residenziali che commerciali ha registrato un riduzione sostanziale. I fondamentali del credito cartolarizzato rimangono stabili: le insolvenze stanno aumentando lentamente, mantenendosi ad un livello storicamente basso e, per la maggior parte degli attivi cartolarizzati, non sembrano mettere in pericolo gli elevati livelli di protezione del credito strutturale. Dopo il picco di giugno, i prezzi delle abitazioni negli Stati Uniti sono scesi di circa il 5% e ci aspettiamo un ulteriore calo del 5-10% nel 2023.7
Prospettive
Pur attendendoci un calo dei prezzi delle abitazioni, continuiamo a favorire il credito residenziale statunitense, in particolare i mutui di più lungo corso (accesi nel 2020 o prima) dato il notevole apprezzamento dei prezzi delle abitazioni negli ultimi anni. Rimaniamo più prudenti nei confronti degli immobili commerciali, che continuano a risentire negativamente degli sviluppi post-pandemici e potrebbero trovarsi in difficoltà in caso di recessione. Abbiamo ridotto in modo significativo il nostro sovrappeso in Europa in favore degli Stati Uniti, poiché le opportunità corrette per il rischio ci sono sembrate più interessanti in questo paese. Tuttavia, alla luce della normalizzazione degli spread e del miglioramento delle condizioni economiche, siamo meno preoccupati per le opportunità europee.
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