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Quando si può considerare sufficiente l'efficienza di un portafoglio? Una valutazione di beta alternativi
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Articolo di approfondimento
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luglio 03, 2023
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luglio 03, 2023
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Quando si può considerare sufficiente l'efficienza di un portafoglio? Una valutazione di beta alternativi |
Nel corso degli ultimi 40 anni, a partire dal 1980 in poi, i tassi d'interesse hanno perso quota, facendo sì che i prezzi delle obbligazioni guadagnassero terreno. Di fronte alla repentina conclusione di una fase di contrazione dei tassi d'interesse durata quattro decenni, oggi gli investitori fanno fatica a individuare modelli alternativi per creare portafogli efficienti con rendimenti più stabili. Come mai? Oggi che a quanto pare le obbligazioni non sono più in grado di fungere da "bilanciatore" dei portafogli, ruolo che hanno ricoperto nell’ultimo decennio, il portafoglio tradizionale 60/401 rischia di non conseguire più i risultati attesi.
Come possiamo trovare la soluzione a questo problema? Per trovare una soluzione dobbiamo tornare agli anni '50 e '60, quando questo aspetto fu analizzato approfonditamente per la prima volta. Anche prima di allora, e in pratica sin da quando investire è diventata un'occupazione seria (per chi non lo sapesse, la prima borsa fu fondata ad Amsterdam nel 1611, mentre il NYSE nacque nel 1792) gli investitori capirono l'esistenza di un rapporto tra rischio e rendimento. Tuttavia, non sapevano come misurare e gestire in modo affidabile il rischio, né come incorporare questa incertezza nella valutazione di un portafoglio di investimento.
Nel 1952 entra però in scena Harry Markowitz, che ebbe la brillante intuizione di misurare e gestire i rischi di portafoglio detenendo diverse tipologie di attivi con correlazioni imperfette tra di loro. Secondo Markowitz le minori correlazioni tra gli attivi avevano l'effetto netto di cancellare alcuni, anche se non tutti, dei rischi associati all'interno del portafoglio. Queste basse correlazioni, che impediscono agli attivi di muoversi sincronicamente, hanno l'effetto di ridurre la varianza dei rendimenti nel tempo.
Il concetto è stato ulteriormente sviluppato verso la metà degli anni ’60 da William Sharpe e John Lintner, con la creazione di un modello coerente per comprendere in quale modo i rischi associati all'interno di un portafoglio, così come spiegato da Markowitz, dovrebbero incidere sui rendimenti attesi o sulla valutazione del portafoglio. Ed è così che è nato il Capital Assets Pricing Model (CAPM). In linea di principio, i due spinosi problemi di come gestire e come valutare il rischio dovrebbero aver trovato risposta grazie a queste due importanti scoperte, che costituiscono il fondamento della moderna teoria finanziaria. Ma per citare un famoso detto di Albert Einstein, “In teoria, teoria e pratica sono la stessa cosa. Nella pratica, invece no.”
Entro gli anni ’70 iniziarono a venir mosse delle critiche al modello CAPM, basate sull'eccessiva teoricità del presupposto di una sensibilità al rischio, cioè il beta, del portafoglio (e vari altri fattori che però non rientrano nell'ambito di questo articolo). Il concetto di beta è tuttavia importante, perché collega il rischio di mercato al rendimento che un investitore si aspetta di realizzare per essersi assunto tale rischio. Il problema del beta resta tuttora irrisolto e spetta quindi agli investitori valutare indicatori alternativi del rischio e considerare in modo diverso gli investimenti futuri, dato che il passato potrebbe rappresentare una guida imperfetta.
Anche oggi si continua a dibattere sul rapporto ideale tra rischio e rendimento in un portafoglio di azioni e obbligazioni, e sulla potenziale volatilità futura dei rendimenti. Ma un portafoglio passivo 60/40 è davvero la soluzione ottimale, come molti investitori hanno ritenuto per lunghissimo tempo? Oppure esiste un'alternativa migliore? Anche se potrebbe sembrare una semplificazione estrema di una strategia di rischio bilanciato per un portafoglio, gli investitori non possono ignorare il fatto che per 40 anni il portafoglio classico 60/40 ha funzionato piuttosto bene. In sostanza, detenere passivamente obbligazioni ha ridotto il beta, cioè il rischio, del portafoglio. Ma siamo certi che oggi le obbligazioni siano ancora in grado di ridurre il rischio o attenuare il beta del portafoglio? Oppure, al contrario fanno salire rischio e beta? E in un caso o nell'altro, qual è il fattore determinante di questo rischio?
TROVARE UN NUOVO MODELLO DI EQUILIBRIO DEL RISCHIO ORA CHE IL 60/40 NON È PIÙ OTTIMALE
La direzione dei tassi d'interesse nel futuro a breve e lungo termine fornisce informazioni di importanza cruciale. Se invece di scendere i tassi d'interesse si limitassero ad oscillare all'interno di un intervallo ristretto o addirittura tendessero al rialzo, il tradizionale portafoglio passivo 60/40 non rappresenterebbe la soluzione ottimale. In questo caso a nostro parere la soluzione sarebbe un portafoglio attivamente bilanciato che punta a ridurre la volatilità dei rendimenti. Ma perché consideriamo la volatilità così importante? Perché stabilizzare la volatilità dei rendimenti consente agli investitori di capitalizzare i rendimenti in modo più prevedibile in futuro. Warren Buffett stesso ha sempre affermato che la sua ricchezza è riconducibile in gran parte al potere dell'effetto compounding. Siamo convinti che per capitalizzare i rendimenti sia necessario investire in una strategia bilanciata che abbia dimostrato la capacità di controllare il rischio, nello specifico una strategia Global Balanced and Risk Control.
L'OBIETTIVO DEL PORTAFOGLIO 60/40
L'obiettivo del portafoglio 60/40 era ridurre la volatilità dei rendimenti in un orizzonte di lungo termine bilanciando i rischi tra le azioni e le obbligazioni detenute dall'investitore in portafoglio. Lo scopo ultimo era minimizzare il rischio di ribasso, ovvero le perdite, partecipando ai rialzi del mercato, e l'importanza di evitare le perdite non può essere sottolineata a sufficienza. I ribassi sono le fasi di volatilità di mercato che ogni investitore ha affrontato quando il suo portafoglio ha registrato perdite "teoriche" e la paura diventa tangibile al punto tale che l'investitore non è più in grado di tollerarla. La capacità di far fronte ai ribassi rappresenta, in un certo senso, la tolleranza al rischio dell'investitore. Durante le contrazioni di mercato più significative (ad esempio la grande crisi finanziaria del 2008-09) alcuni investitori hanno venduto in prossimità dei minimi di mercato, di norma il momento peggiore in assoluto per liquidare un investimento. Questo è un rischio reale, e il problema dei ribassi significativi, “teorici” o meno, si spiega in semplici termini matematici: se un investitore perde il 50% del portafoglio in una fase di grave contrazione, il portafoglio dovrà guadagnare il 100% solo per tornare al livello precedente.
A nostro parere, bilanciando i rischi di un portafoglio per ridurre la frequenza e l'entità dei ribassi un investitore ha maggiori probabilità di capitalizzare rendimenti in modo stabile e prevedibile, come illustra l'esempio dell'8% contro il 5,3% della Figura 1. Dopo tutto, questo è appunto l'obiettivo della pianificazione finanziaria e della copertura delle passività a lungo termine.
LA STRATEGIA DI RISCHIO BILANCIATO 60/40 HA FUNZIONATO...?
Come abbiamo visto, il portafoglio 60/40 ha servito bene gli investitori tra il 1999 e il 2021 (ricordiamo che il 2022 non è stato incluso, e il motivo verrà spiegato a breve). In linea di massima, detenere obbligazioni riduceva il beta del portafoglio, ma il vero motivo del successo del modello 60/40 è stato il fatto che le obbligazioni hanno generato rendimenti positivi per 20 anni su 23.2 Gli anni sfavorevoli alle obbligazioni sono stati:
In media, tra il 1999 e il 2021 le obbligazioni hanno generato un rendimento del 4,1% circa e negli anni negativi del 1999, 2006 e 2021 l’azionario ha prodotto in media un rendimento del 4,1% circa3, di conseguenza un portafoglio 60/40 ha ottenuto risultati ragionevolmente buoni. Tutto sommato, le obbligazioni hanno ricompensato lautamente gli investitori per il rischio azionario, attenuando la volatilità dei rendimenti del portafoglio complessivo. Ma per essere sinceri, la vera causa del successo del modello 60/40 è stata la costanza dei rendimenti obbligazionari.
… SÌ, MA CONTINUERÀ A FARLO?
Le obbligazioni continueranno a generare rendimenti stabilmente positivi come in passato? Se il 2022 può essere considerato rappresentativo per il futuro, forse no, visto che le obbligazioni hanno lasciato sul perso il -12,0%. Ciò che ha reso il 2022 un anno particolarmente negativo è però il fatto che hanno perso quota anche le azioni, fenomeno mai verificatosi nel periodo 1999 - 2021. La correlazione tra azioni e obbligazioni è stata generalmente bassa, nel senso che le due tipologie di attivi non si muovevano in modo sincrono e proprio questa era l'attrattiva principale del tradizionale portafoglio 60/40. In futuro, il successo degli investimenti obbligazionari dipenderà invece dal ciclo dei tassi d'interesse. Infatti, come abbiamo visto in passato, circa l'85% dei rendimenti obbligazionari dipende dai movimenti dei tassi d'interesse.4 Ribadiamo comunque che visto il ciclo di ribasso dei tassi tra il 1982 e il 2021, i rendimenti obbligazionari sono stati di norma positivi.
Potrebbe essere invece più utile chiedersi se nei prossimi 40 anni i tassi d'interesse avranno un andamento decrescente. A nostro avviso è improbabile, per questo l'allocazione statica 60/40 volta a bilanciare il rischio viene messa in discussione. Se in futuro i tassi d'interesse dovessero rimanere fermi all'interno di un intervallo ristretto, le obbligazioni non sarebbero più una copertura affidabile per gli investimenti azionari come erano un tempo, e quindi la strategia bilanciata 60/40 diverrebbe inutile. Se i tassi tendessero a salire, le obbligazioni diventerebbero una scelta ancor più dubbia per fungere da copertura in grado di fornire rendimenti stabili se abbinate ad un'esposizione azionaria. Ne consegue che il beta, cioè il fattore di rischio di un portafoglio 60/40, potrebbe aumentare.
In fin dei conti, non vi è nulla di eccezionale in una strategia 60/40. Dopotutto, è un termine che prima del 1980 nemmeno esisteva e fu coniato proprio in quell'anno, quando i tassi iniziarono a scendere e venne sviluppato il concetto di risk parity in relazione all'approccio di investimento. Oggi la strategia risk parity è un approccio di allocazione di portafoglio molto comune che utilizza il rischio come base per determinare le quote di esposizione ai vari componenti del portafoglio di investimento, considerando il rischio e il rendimento dell'intero portafoglio come un'unica entità. Al tempo si trattava di un concetto rivoluzionario.
Storicamente, a parità di condizioni, i tassi d'interesse hanno registrato un andamento ciclico laterale confinato all'interno di un determinato intervallo. Ciò significa che ci saranno anni in cui la correlazione tra azioni e obbligazioni sarà positiva, mentre in altri negativa. Ma se i tassi d'interesse non imboccano un corso di graduale contrazione, i rischi di correlazione tra le due classi di attivo aumenteranno, e di conseguenza anche la rischiosità, cioè il beta, del portafoglio.
QUAL È LA SOLUZIONE?
Per prima cosa, riteniamo che la soluzione vada ricercata in una gestione attiva, evitando gli investimenti passivi a cui farebbe seguito la frustrazione di constatare che il rendimento non tiene fede alle promesse, senza poter fare nulla per porvi rimedio. Più in particolare, la soluzione consiste nell'adottare strategie a gestione attiva che compensino i rischi connessi alle diverse tipologie di attivi detenuti in portafoglio per mitigarne la volatilità. Questa è quella che definiamo una strategia beta alternativa, in contrapposizione a una che fa affidamento sui rendimenti obbligazionari storici in una fase di tassi d'interesse in contrazione.
In altre parole, gli investitori devono stare attenti al modo in cui il gestore bilancia i rischi di portafoglio tramite le decisioni di asset allocation per ridurre la volatilità dei rendimenti. Questa considerazione ci riporta esattamente al punto di partenza di questa riflessione, cioè la necessità di ridurre la volatilità dei rendimenti, limitare il rischio di perdite significative e stabilizzare i rendimenti per renderli più prevedibili e promuoverne il compounding nel tempo. Questo obiettivo può essere realizzato bilanciando i rischi del portafoglio, ma anche applicando un modello di gestione e la disciplina necessaria per controllare il rischio. La nostra strategia multi-asset di punta Global Balanced Risk Control gestisce attivamente le esposizioni in azioni, obbligazioni, titoli legati alle materie prime e liquidità nello stesso portafoglio. Come si evince dalla Figura 2, apportiamo sostanziali modifiche al mix di attivi dei nostri portafogli in base alle nostre aspettative sui rischi futuri al fine di anticipare il probabile andamento della volatilità di mercato.
IN SINTESI
Riteniamo che sia già iniziata una nuova era di investimento, in cui le strategie statiche 60/40 non riusciranno più a conseguire risultati ottimali. Non crediamo che, a breve e a lungo termine, le obbligazioni possano continuare a svolgere il ruolo di bilanciatore dei portafogli che rivestivano in passato. Inoltre, dato che la loro correlazione con le azioni non si può più considerare bassa, viene meno la loro utilità per ridurre il rischio beta, specialmente all'interno di un portafoglio non gestito e passivo che non si può manovrare con agilità. Per gestire la volatilità di mercato e minimizzare la potenziale partecipazione a ribassi in grado di erodere la capacità di compounding di un portafoglio, riteniamo che gli investitori dovranno affidarsi a un gestore capace di gestire attivamente la volatilità, come il team Portfolio Solutions Group.
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Chief Investment Officer
Portfolio Solutions Group
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