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Déjà vu? No, il 2022 non sarà come il 2021
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Global Fixed Income Bulletin
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gennaio 15, 2022
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gennaio 15, 2022
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Déjà vu? No, il 2022 non sarà come il 2021 |
I mercati hanno chiuso il mese di dicembre in positivo malgrado il rapido aumento dei casi di Covid verso la fine del mese, dovuto alla alta trasmissibilità della variante Omicron. A dicembre i mercati azionari hanno subito rialzi, gli spread creditizi si sono ristretti e anche i mercati emergenti hanno messo a segno risultati positivi, recuperando in buona parte o completamente il ribasso registrato dai rispettivi listini azionari e obbligazionari nella seconda metà di novembre. A gennaio i rendimenti dei titoli di Stato sono aumentati, in alcuni paesi anche in misura considerevole. Tuttavia, questi rialzi non hanno intaccato, né in Europa né negli Stati Uniti, il quadro economico positivo e i rendimenti si sono riportati all’interno degli intervalli in cui hanno trascorso gran parte del secondo semestre del 2021. Le prospettive di crescita sono nettamente migliorate nel quarto trimestre grazie alla marcata accelerazione della produzione industriale, resa possibile dalla risoluzione delle problematiche legate alle catene di approvvigionamento e dalla conseguente ricostituzione delle scorte.
Tuttavia, il 2021 si è chiuso in un contesto molto diverso rispetto a quello con cui era iniziato. L’anno aveva infatti debuttato all’insegna dell’ottimismo, con vaste campagne vaccinali e ampi stimoli fiscali in vista, nonché – fattore molto importante – un’inflazione contenuta a fronte della quale né i mercati, né la Federal Reserve (Fed) prevedevano variazioni della politica monetaria perlomeno fino a metà 2023. Ora ci troviamo invece a fare i conti con una variante di coronavirus altamente contagiosa, un cambiamento di politica monetaria della Fed che prelude a una serie di strette nel 2022, una politica fiscale non ancora ben definita negli Stati Uniti e un’inflazione galoppante. Quindi, anche se in apparenza questa prima fase del 2022 può sembrare simile allo stesso periodo dell’anno scorso, la situazione è in realtà molto diversa.
A questo punto sorgono spontanee tre domande. Primo, quali saranno gli impatti economici della variante Omicron? Secondo, in che misura i mercati dovrebbero temere le prossime mosse della Fed? Terzo, l’inflazione può rallentare?
L’ultima ondata del Coronavirus ha spinto i contagi a livelli record, e questo prima ancora dell’arrivo della variante Omicron in Asia. Questa situazione potrebbe avere conseguenze negative per la crescita. La nostra previsione di base è che l’ondata di Omicron si estinguerà da sola in tempi relativamente brevi, proprio a causa della sua elevata trasmissibilità, della minore virulenza e degli alti tassi di vaccinazione. Di conseguenza, nel primo trimestre del nuovo anno l’attività economica subirà solo un modesto rallentamento. Inoltre, l’impatto di Omicron dovrebbe rivelarsi più severo sul settore dei servizi (maggiore cautela, minore mobilità) che su quello dei prodotti. Le conseguenze per l’inflazione sono meno ovvie, dato che le restrizioni influenzeranno sia l’offerta che la domanda di servizi, ma la produzione industriale non dovrebbe esserne penalizzata pesantemente.
Per contro, l’impatto delle azioni della Fed nel 2022 dovrebbe essere più duraturo di quello della variante Omicron (o almeno si spera!). L’orientamento della Fed è passato ad essere restrittivo. Alla luce della quasi totale assenza di opposizione interna all’implementare vari rialzi dei tassi (da due a quattro) nel 2022 possiamo aspettarci l’inizio delle azioni di politica monetaria restrittiva già a maggio, un’accelerazione del tapering e la fine del quantitative easing (QE) attorno a marzo/aprile, mentre il quantitative tightening (cioè la riduzione del bilancio) potrebbe iniziare verso metà anno. Tuttavia, quello che né la Fed, né tantomeno i mercati hanno ancora fatto è alzare le stime del tasso terminale dei Federal Fund, che secondo gli analisti si dovrebbe aggirare tra l’1,75% e il 2,00% mentre per la Fed si colloca tra il 2,25% e il 2,50%. A questo punto potrebbero verificarsi due scenari, che non sono mutualmente escludenti. In primo luogo, il tasso atteso dal mercato potrebbe aumentare per allinearsi alle attese della Fed facendo alzare i tassi a più lunga scadenza. In secondo luogo, la Fed potrebbe trovarsi a dover combattere pressioni inflazionistiche ostinate, nel qual caso le attese sul tasso terminale crescerebbero ulteriormente. La riduzione della liquidità nel 2022, unita all’incremento dei tassi (il mercato sconta già più di tre rialzi nell’anno in corso) alimenterà l’aumento dei rendimenti obbligazionari. Il quantitative tightening (QT) potrebbe essere il catalizzatore per un irripidimento della curva dei rendimenti nel 2022. Ad ogni modo, il rischio maggiore per i mercati finanziari è il modo in cui la Fed gestirà il proprio bilancio. Il mercato sa bene come scontare gli aumenti dei tassi, ma è molto meno sicuro della condotta da tenere di fronte a una contrazione potenzialmente improvvisa del bilancio della banca centrale.
Da ultimo, le prospettive di inflazione sono di cruciale importanza, dato che la politica monetaria di numerosi paesi, tra cui non solo gli Stati Uniti, ma anche molti mercati emergenti, il Canada, il Regno Unito, l’Australia, la Norvegia e la Nuova Zelanda, è fortemente influenzata dall’andamento inflazionistico globale. Tuttavia, a nostro avviso, ci si può aspettare un rallentamento dell’inflazione nel primo trimestre del nuovo anno, sulla scia del calo dei prezzi dell’energia. Questa rappresenterà la prima contrazione dell’attuale ciclo di aumento dei prezzi. Purtroppo, al rallentamento del tasso d’inflazione nominale non seguirà una contrazione dell’inflazione strutturale, la cui traiettoria risente di shock sia sul fronte della domanda che su quello dell’offerta. L’inflazione strutturale dovrebbe quindi dapprima stabilizzarsi su un livello soglia per ridursi in seguito, anche se in misura solo marginale. Ad ogni modo, il fatto positivo è che per la prima volta da oltre un anno a questa parte l’aumento dei prezzi potrebbe registrare un rallentamento. La domanda da porsi è però se tale correzione sarà sufficiente a impedire alle banche centrali di implementare una stretta monetaria superiore a quella scontata dai mercati.
Per quanto riguarda le nostre previsioni, a fine anno abbiamo complessivamente ridotto il livello di rischio del portafoglio a causa dell’incertezza delle prospettive. Manteniamo un posizionamento lungo sugli investimenti rischiosi (obbligazioni societarie, titoli cartolarizzati, mercati emergenti) a fronte delle prospettive economiche positive (crescita più bassa ma comunque robusta e rallentamento dell’inflazione) e dell’aspettativa che le conseguenze della variante Omicron per le economie mondiali saranno modeste. Prevediamo inoltre che i rendimenti dei titoli di Stato dei paesi sviluppati continueranno a salire, anche se la loro performance continuerà a dipendere, come in passato, dall’andamento dei titoli rischiosi, dall’instabile avversione al rischio degli investitori e dall’evoluzione pandemica.
Nota: performance in USD. Fonte: Bloomberg. Dati al 31 dicembre 2021. Gli indici riportati hanno scopo puramente illustrativo e non intendono rappresentare la performance di un investimento specifico. La performance passata non è garanzia di risultati futuri. Per le definizioni degli indici si rimanda alle pagine successive.
Nota: per variazione positiva si intende l’apprezzamento della valuta nei confronti dell’USD. Fonte: Bloomberg. Dati al 31 dicembre 2021.
Fonte: Bloomberg, JPMorgan. Dati al 31 dicembre 2021.
Prospettive per il mercato obbligazionario
A dicembre la maggior parte dei mercati obbligazionari ha messo a segno ottimi risultati, sia in termini assoluti che relativi, se comparati alle deludenti performance di novembre. La tendenza di appiattimento delle curve dei tassi è proseguita, anche se a velocità più moderata. I rendimenti dei titoli di Stato sono cresciuti provocando una riduzione dei prezzi. I titoli hanno perciò ceduto gran parte del terreno guadagnato nel rally di novembre. Malgrado l’orientamento più restrittivo delle rispettive banche centrali, i mercati obbligazionari dei paesi anglosassoni hanno sovraperformato.1 A dicembre le obbligazioni high yield hanno recuperato tutte le perdite subite a novembre, e poco dopo sono state seguite dai titoli investment grade, che però non sono riusciti a cancellare del tutto la sottoperformance registrata nelle ultime due settimane di novembre.2 Il rovescio della medaglia della buona performance registrata a dicembre dai mercati creditizi è la riduzione dei rendimenti attesi per il 2022, in particolare alla luce della politica monetaria restrittiva della Fed.
I futuri sviluppi della variante Omicron avrà conseguenze significative per le economie e per i mercati. Data l’evoluzione di Omicron fino al momento attuale, non ci aspettiamo significative ripercussioni sull’andamento dell’economia reale e sulle decisioni di politica monetaria. Alcuni settori economici saranno inevitabilmente penalizzati, ma l’impatto dovrebbe rivelarsi solo temporaneo e i fondamentali economici sottostanti dovrebbero mantenersi solidi. Purtroppo queste prospettive positive per la crescita e per i flussi di cassa societari comportano il superamento degli obiettivi di inflazione. Anche nel 2022, come nel 2021, l’inflazione dovrebbe risultare superiore al trend mentre l’economia statunitense raggiungerà la piena occupazione (a prescindere dalla definizione utilizzata) e la maggior parte degli altri paesi tornerà (o supererà) ai precedenti livelli in termini di PIL e occupazione. Tuttavia, l’inflazione elevata e persistente ha prodotto dei cambiamenti anche nelle aspettative di politica monetaria. A livello globale, il numero di banche centrali che si preparano a ridurre le misure di politica monetaria espansiva è aumentato rispetto alle stime di appena un mese fa. L’evento determinante del 2022 sarà il modo in cui le politiche restrittive verranno messe in atto.
Una delle maggiori sorprese del 2021 è stato il calo dei rendimenti reali. Le economie sviluppate hanno messo a segno una forte espansione, i tassi di disoccupazione sono scesi, le retribuzioni sono aumentate più del previsto e l’inflazione è tornata a crescere. Senza dubbio il 2021 è stato l’anno in cui l’inflazione ha destato notevoli sorprese, tornando in scena dopo oltre vent’anni di assenza. Malgrado il contesto macroeconomico estremamente solido, negli ultimi tre trimestri i rendimenti nominali sono inaspettatamente scesi, spingendo quelli reali in territorio ampiamente negativo. In base ai prezzi di mercato attuali, gli investitori si aspettano che rendimenti reali rimangano negativi su tutta la curva per un periodo di tempo prolungato. Questo scenario estremamente negativo potrebbe non materializzarsi se verrà evitata una stagnazione a lungo termine dell’economia (prospettiva che non possiamo ancora escludere del tutto). I bassi rendimenti reali dipendono da vari fattori destinati a perdere importanza, tra cui ad esempio la politica monetaria ultra espansiva. La Fed punta sull’aumento dei rendimenti reali per arginare l’inflazione. L’entità di tale rialzo dipenderà dalla reazione dei mercati finanziari. L’ampiezza della stretta monetaria necessaria è infatti inversamente proporzionale all’aumento dei rendimenti a lungo termine. L’atteso inizio del QT costituisce un ulteriore fattore d’incertezza, in quanto i mercati (e la Fed) non sanno bene come scontare una situazione di contemporaneo aumento dei tassi e inasprimento monetario. In previsione di questa evoluzione, i rendimenti reali stanno già crescendo, a cominciare dagli Stati Uniti. Per questo motivo ci aspettiamo rendimenti nominali e reali più elevati nel 2022 a fronte della riduzione della liquidità sul mercato e del calo dell’inflazione.
A nostro avviso, un importante fattore che contribuisce a mantenere bassi i rendimenti a più lunga scadenza (al di fuori dell’enorme massa di liquidità globale) è l’aspettativa che i tassi terminali, ovvero i tassi ufficiali massimi, non tocchino nuovi picchi. Di fatto, le attuali aspettative di mercato indicano che i tassi massimi per questo ciclo saranno nettamente inferiori rispetto a quelli registrati durante il ciclo precedente (2015-2018) Il rischio per le valutazioni obbligazionarie deriva più dalla durata del ciclo di rialzi e dall’eventuale tasso di riferimento terminale che non dal ritmo o dalla data di inizio di questa dinamica (benché questi fattori siano rilevanti per la curva dei tassi). Il perdurare dell’inflazione comporta il rischio che i tassi terminali salgano sia per effetto del comportamento dei mercati che delle azioni della Fed. Malgrado ciò, ci aspettiamo che nel 2022 l’aumento dei prezzi e la crescita in termini di produzione e occupazione subiscano un rallentamento e che la Fed calibri il ciclo di politica monetaria restrittiva sulla base dei dati che si renderanno disponibili. Dopo tutto, non è impossibile che questa fiammata inflazionistica si riveli passeggera. Verso la fine del primo semestre, quando l’entità della discesa dell’inflazione sarà più chiara, è possibile che la Fed sarà in grado di rallentare il ciclo di politica monetaria restrittiva. Ma potrebbe anche verificarsi l’esatto opposto!
Altre banche centrali seguiranno l’esempio della Fed, prima fra tutte quella canadese (BoC), che dovrebbe attuare la sua prima stretta a breve (battendo sul tempo la stessa Fed), mentre la Banca d’Inghilterra (BoE), la Reserve Bank of New Zealand (RBNZ) e la Norges Bank hanno già dato il via ai cicli di politica monetaria restrittiva. La maggior parte delle banche centrali dei mercati emergenti ha iniziato un anno fa ad alzare i tassi, in molti casi anche in modo drastico. Sebbene sia ragionevole aspettarsi maggiori rialzi se l’inflazione dovesse crescere, il fatto che le banche centrali dei paesi emergenti si siano mosse in anticipo, conferisce loro la possibilità di sospendere le azioni di politica monetaria restrittiva anche in controtendenza rispetto alla Fed, qualora la crescita e l’inflazione nei rispettivi paesi lo richiedessero. La Banca centrale europea (BCE) procederà a ritmo più lento, non essendo ancora convinta che dopo questa fiammata iniziale l’inflazione non possa tornare sotto il tasso obiettivo, ma senza dubbio nel corso dell’anno ridurrà considerevolmente il QE, o vi porrà fine del tutto, impedendo così ai tassi di scendere. Anche in Giappone l’inflazione si sta rivelando superiore rispetto alle aspettative e visto che i mercati non scontano alcuna variazione della politica monetaria da parte della banca centrale, non possiamo escludere sorprese per il 2022. Solo la politica monetaria della Cina si discosta nettamente da quella degli Stati Uniti. Gli sforzi per arginare la diffusione della pandemia e i tentativi compiuti per bilanciare gli obiettivi di crescita con la riduzione dell’indebitamento faranno sì che per tutto il 2022 la banca centrale cinese mantenga un orientamento espansivo.
Di recente il nervosismo è aumentato anche tra gli investitori in obbligazioni, facendo allargare gli spread. Riteniamo che ciò sia principalmente dovuto alla compressione registrata dagli spread in quest’ultimo periodo, piuttosto che a un incremento significativo del rischio di insolvenza o al deterioramento dei fondamentali. Un ulteriore ampliamento potrebbe rappresentare un’opportunità di acquisto. I rischi relativi ai mercati emergenti sono limitati al fronte locale. A fronte del tono restrittivo delle banche centrali e delle persistenti pressioni inflazionistiche, nutrire ottimismo sembra prematuro, nonostante i significativi aumenti dei tassi degli ultimi mesi. Anche l’orientamento restrittivo della Fed nei prossimi mesi potrebbe rappresentare un problema. Infine, in molti paesi iniziano a farsi sentire le conseguenze della situazione politica.
Alla luce di queste considerazioni, quali sono le nostre prospettive sui mercati? In generale, confermiamo il sovrappeso nei settori ciclici più rischiosi, anche se meno accentuato rispetto a qualche mese fa. Ci aspettiamo una sovraperformance dei titoli high yield, delle obbligazioni cartolarizzate e dei prestiti a tasso variabile rispetto ai titoli di Stato, ai titoli cartolarizzati (MBS) e delle obbligazioni investment grade, anche se in misura minore rispetto al 2021. A nostro parere i bassi tassi terminali previsti e i rendimenti reali fortemente negativi rendono poco interessanti le obbligazioni a più lunga scadenza. Le probabilità che questo scenario si materializzi sono però subordinate all’intensità della stretta della Fed, che dovrà stare attenta a non esagerare, né volutamente né inavvertitamente. Se il mercato fiutasse l’arrivo di una recessione, la situazione si invertirebbe a favore di una sovraperformance delle obbligazioni investment grade e dei titoli di Stato. Alcune aree dei mercati emergenti appaiono interessanti alla luce delle strette già operate dalle rispettive banche centrali, in particolare le obbligazioni in valuta locale di Messico, Brasile, Sudafrica e Russia. Abbiamo un orientamento più selettivo sul debito estero, ma ci aspettiamo un recupero dei titoli di Stato ad alto rendimento dopo la sottoperformance del 2021. Una volta superato il picco dell’inflazione, gli elevati premi al rischio dovrebbero iniziare a scendere. Le obbligazioni a breve scadenza risultano più interessanti perché scontano premi al rischio maggiori, ma su domanda e offerta influirà anche il modo in cui la Cina gestirà la strategia di gestione della pandemia. Inoltre, la variante Omicron continua a costituire un rischio, così come il possibile arrivo di una nuova variante ancora ignota.
Tassi d’interesse e di cambio dei mercati sviluppati
Analisi mensile
A dicembre l’andamento dei tassi dei mercati sviluppati è stato influenzato da due fattori: la variante Omicron e le riunioni delle banche centrali. Il mese è iniziato con un breve ribasso dei tassi dopo il flight-to-safety innescato dai timori legati alla variante Omicron. Tuttavia, per la maggior parte dei paesi sviluppati, i tassi hanno chiuso il mese in rialzo. Nel mese, il dollaro statunitense non ha registrato variazioni significative, mentre le valute emergenti hanno messo a segno performance contrastanti.
Prospettive
La politica monetaria e l’evoluzione della pandemia continueranno a influenzare i movimenti dei tassi dei paesi sviluppati. A nostro parere è molto probabile che l’inflazione aumenti, provocando un irrigidimento della politica monetaria, un rialzo dei tassi e un irripidimento delle curve dei rendimenti. Nel complesso intravediamo opportunità per molte valute emergenti rispetto a quelle del G10.
Tassi d’interesse e di cambio dei mercati emergenti
Analisi mensile
A dicembre i rendimenti del debito emergente erano positivi. Il debito sovrano in valuta forte ha generato risultati positivi grazie alla contrazione degli spread, solo in parte compensata dall’aumento dei rendimenti dei Treasury statunitensi.3 I tassi sulle obbligazioni societarie dei mercati emergenti hanno chiuso il mese in positivo e il segmento high yield ha sovraperformato quello investment grade.4 Anche le obbligazioni in valuta locale hanno chiuso in territorio positivo principalmente grazie all’apprezzamento delle valute emergenti rispetto al dollaro statunitense.5
Prospettive
Il nostro sentiment nei confronti delle prospettive per il debito dei mercati emergenti è passato da cauto a opportunistico. Anche se l’introduzione delle politiche monetarie restrittive a livello globale, l’elevata inflazione e l’incertezza legata alla variante Omicron rischiano di ridurre il potenziale di rialzo dei titoli rischiosi, la crescita mondiale si conferma solida e i prezzi delle materie prime hanno segnato un recupero nel corso del mese. In questo contesto, le obbligazioni high yield dei paesi emergenti potrebbero sovraperformare quelle investment grade. Sul fronte locale, alcune valute appaiono decisamente sottovalutate e potrebbero sovraperformare qualora l’incertezza dovesse diminuire. Sul versante del debito in valuta locale, preferiamo le curve dei rendimenti che scontano già una stretta monetaria aggressiva.
Credito societario
Analisi mensile
A dicembre i differenziali delle obbligazioni societarie si sono significativamente ridotti davanti alle buone performance dei titoli rischiosi. Le notizie sul fronte societario sono state limitate a causa delle festività, ma le operazioni di fusione e acquisizione sono rimaste una costante in quanto la disponibilità di finanziamenti a basso costo e la prevista ripresa economica nel 2022 hanno permesso la crescita del numero di transazioni.
Anche il mercato delle obbligazioni high yield ha messo a segno una solida performance a dicembre nonostante l’elevata volatilità, in particolare delle obbligazioni di bassa qualità creditizia.
A dicembre i titoli convertibili globali hanno sottoperformato per il secondo mese consecutivo se comparati alle performance di azioni e obbligazioni, essenzialmente a causa degli ampi sottopesi in questa classe di attivo rispetto ai settori di maggior successo del comparto azionario, cioè energia, finanza, immobiliare e materiali.
Prospettive
Non ci aspettiamo variazioni degne di note del quadro di riferimento per le obbligazioni societarie, che presentano valutazioni elevate e fondamentali solidi. Ci attendiamo una certa volatilità all’inizio del 2022, considerato il clima di incertezza e scarsa propensione al rischio.
Titoli a tasso variabile
Analisi mensile
A dicembre la solida domanda di titoli a tasso variabile da parte degli investitori ha alimentato il rimbalzo del mercato dei prestiti senior. I fondamentali hanno continuato a beneficiare delle solide condizioni creditizie e i vari segmenti di rating hanno seguito l’andamento ormai consueto in questa fase di pandemia, caratterizzato dalla sovraperformance delle fasce di qualità creditizia inferiore.
Prospettive
I fattori tecnici e i fondamentali dovrebbero mantenersi solidi. Il quadro creditizio favorevole e la costante ricerca di rendimento da parte degli investitori dovrebbero assicurare costanti afflussi di capitale verso questo segmento. Inoltre, la crescita economica superiore al trend, gli ottimi parametri creditizi e i bassi tassi di insolvenza rafforzano il quadro dei fondamentali.
Prodotti cartolarizzati
Analisi mensile
Dicembre è stato un mese piuttosto tranquillo per i mercati dei titoli ipotecari e cartolarizzati, sia in termini di volumi che di volatilità. Malgrado il rallentamento di dicembre, nel 2021 le nuove emissioni di titoli cartolarizzati hanno toccato i massimi dalla crisi finanziaria. I differenziali degli MBS emessi da agenzie si sono leggermente ridotti.6 La domanda di MBS emessi da agenzie si mantiene robusta perché per ora la Fed resta un acquirente netto di MBS e reinveste i rimborsi anticipati (pur avendo ridotto i volumi degli acquisti netti), mentre le banche commerciali statunitensi continuano a incrementare le rispettive posizioni. Gli spread dei titoli RMBS, CMBS e ABS non di agenzia si sono complessivamente ampliati nel corso del mese, anche se in termini di performance le differenze tra i vari segmenti sono state significative.7
Prospettive
Nel complesso riteniamo che il mercato delle cartolarizzazioni offra una combinazione molto interessante di bassa duration, rendimenti interessanti e solidi fondamentali creditizi. Confermiamo la fiducia nei confronti del segmento del credito cartolarizzato, in cui manteniamo un modesto sovrappeso. Rimaniamo invece cauti in merito agli MBS di agenzia e al rischio di tasso d’interesse, continuiamo quindi a gestire i portafogli con una duration relativamente bassa.
CONSIDERAZIONI SUI RISCHI
La diversificazione non garantisce che verranno generati utili e non protegge dalle perdite in una fase di rallentamento del mercato.
Non vi è alcuna garanzia che l’obiettivo d’investimento del portafoglio sarà raggiunto. I portafogli sono esposti al rischio di mercato, ovvero alla possibilità che il valore di mercato dei titoli detenuti dal portafoglio diminuisca e che il valore delle azioni del portafoglio sia conseguentemente inferiore all’importo pagato dall’investitore per acquistarle. I valori di mercato possono cambiare quotidianamente a causa di eventi economici e di altro tipo (ad es. catastrofi naturali, crisi sanitarie, terrorismo, conflitti e disordini sociali) che influenzano i mercati, i Paesi, le aziende o i governi. È difficile prevedere le tempistiche, la durata e i potenziali effetti negativi (ad esempio la liquidità del portafoglio) degli eventi. Di conseguenza, l’investimento in un portafoglio può comportare una perdita per l’investitore. I titoli obbligazionari sono soggetti alla capacità dell’emittente di rimborsare puntualmente capitale e interessi (rischio di credito), alle variazioni dei tassi d’interesse (rischio di tasso d’interesse), al merito di credito dell’emittente e alle condizioni generali di liquidità del mercato (rischio di mercato). In un contesto di tassi d’interesse in rialzo, i corsi obbligazionari possono calare e dar luogo a periodi di volatilità e a maggiori richieste di rimborso. In un contesto di tassi d’interesse al ribasso, il portafoglio potrebbe generare un reddito inferiore. I titoli con scadenze più lunghe possono essere maggiormente sensibili alle variazioni dei tassi d’interesse. Determinati titoli di Stato americani acquistati dalla strategia, come quelli emessi da Fannie Mae e Freddie Mac, non sono garantiti dal “full faith and credit” (piena fiducia e credito) degli Stati Uniti. È possibile che in futuro questi emittenti non dispongano dei fondi per onorare i propri obblighi di pagamento. I prestiti bancari quotati sono soggetti al rischio di liquidità e ai rischi di credito tipici dei titoli con rating inferiori. Le obbligazioni high yield (dette anche “junk bonds”) sono titoli con rating inferiori che possono comportare livelli più elevati di rischio di credito e di liquidità. I titoli di debito sovrani sono soggetti al rischio di insolvenza. I titoli garantiti da ipoteche e da collaterale sono esposti al rischio di rimborso anticipato e a un più elevato rischio d’insolvenza e possono essere difficili da valutare e vendere (rischio di liquidità). Essi sono altresì soggetti ai rischi di credito, di mercato e di tasso d’interesse. Il mercato valutario è altamente volatile e i suoi prezzi sono influenzati da diversi fattori, tra cui la dinamica della domanda e dell’offerta di una determinata valuta, il commercio, i programmi e le politiche fiscali, monetarie e di controllo della valuta nazionale o estera e le variazioni dei tassi d’interesse nazionali o esteri. Gli investimenti nei mercati esteri comportano rischi specifici, quali rischi di cambio, politici, economici e di mercato. Investire nei paesi emergenti comporta rischi maggiori che investire nei mercati esteri in generale. Gli strumenti derivati possono amplificare le perdite in maniera sproporzionata e incidere significativamente sulla performance. Inoltre possono essere soggetti a rischi di controparte, di liquidità, di valutazione, di correlazione e di mercato. I titoli vincolati e illiquidi possono essere più difficili da vendere e valutare rispetto a quelli quotati in borsa (rischio di liquidità). A causa della possibilità che i rimborsi anticipati alterino i flussi di cassa sulle collateralized mortgage obligation (CMO), non è possibile determinare in anticipo la relativa data di scadenza finale o la vita media. Inoltre, il portafoglio potrebbe subire perdite qualora le garanzie collaterali sulle CMO o eventuali garanzie di terzi fossero insufficienti per onorare i pagamenti.