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Un regalo per le feste in anticipo
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Global Fixed Income Bulletin
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dicembre 15, 2022
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dicembre 15, 2022
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Un regalo per le feste in anticipo |
Quante cose possono cambiare nel giro di qualche settimana. Il mese di ottobre è stato caratterizzato dai toni inflessibili della Fed sui rischi d’inflazione, oltre che da un rapporto sul mercato del lavoro statunitense inaspettatamente positivo e da un’inflazione più alta del previsto. Il 24 ottobre, i rendimenti dei Treasury statunitensi a 10 anni hanno raggiunto un nuovo massimo storico intorno al 4,24%, con un aumento di 43 punti base (pb) rispetto alla fine di settembre. A fine novembre lo scenario si presentava radicalmente diverso, con i rendimenti dei Treasury USA a 10 anni al 3,61%, in calo di ben 61 pb rispetto al picco di ottobre. Anche i rendimenti reali si sono uniti alla festa: i tassi dei TIPS a 10 anni, sono scesi di circa 20 pb durante il mese e di circa 50 pb rispetto ai massimi inframese. Come si spiega?
Innanzitutto, non è stato solo il mercato obbligazionario statunitense a registrare un rialzo: si è trattato di un fenomeno davvero su scala globale. A parte il Giappone e alcuni paesi emergenti, i rendimenti a 10 anni sono scesi ovunque, dai 23 pb dell’Australia ai 185 pb dell’Ungheria. In secondo luogo, il calo non si è limitato ai rendimenti privi di rischio, ma ha coinvolto anche gli spread creditizi, e in modo particolare le obbligazioni denominate in euro. In terzo luogo, il dollaro statunitense ha accusato una flessione significativa. Lo yen giapponese, ad esempio, ha guadagnato oltre l’8% rispetto al dollaro dai minimi di ottobre, quando non a caso i rendimenti dei Treasury statunitensi hanno raggiunto il picco. A novembre, i rendimenti totali obbligazionari, misurati in dollari statunitensi o in valuta locale, sono stati davvero sbalorditivi.
Ci sono tre fattori chiave alla base di questo rally, due dei quali non stupiscono più di tanto, mentre il terzo sì. Nel mese di ottobre, diverse banche centrali hanno lasciato intendere di non essere troppo propense ad aumentare ulteriormente i tassi e hanno espresso riluttanza a procedere con rialzi consistenti. Le banche centrali dell’Europa orientale hanno fatto da apripista a questo movimento e quelle di Svezia, Norvegia, Australia e Canada ne hanno seguito le orme. Da questa lista la grande assente era la Fed, che a ottobre aveva assunto una posizione diametralmente opposta. La prima sorpresa di novembre è stata un rapporto sull’inflazione statunitense migliore del previsto. Dopo molti mesi di sorprese negative su questo fronte, il mercato ha accolto il dato come una prova del fatto che l’inflazione ha raggiunto il picco e sta scendendo. In secondo luogo, la sorpresa dell’inflazione statunitense non avrebbe potuto avere un tempismo migliore rispetto al posizionamento del mercato. Dopo l’impennata dei rendimenti nel mese di ottobre, i mercati obbligazionari erano pronti a una correzione o, come minimo, a un rally o a una compressione da fase ribassista. Infine, il colpo di grazia, per così dire, è stato l’apparente ammorbidimento dei toni restrittivi della Fed, evidenziato dall’aumento dei membri del Federal Open Market Committee (FOMC) inclini a ritenere che, almeno per ora, gli interventi siano stati sufficienti. Per quanto, sotto molti aspetti, un simile sviluppo non sia sorprendente, a un certo punto la Fed ha dovuto riconoscere di aver alzato i tassi in modo moto consistente e ha ammesso la necessità di un rallentamento o di una pausa per valutarne l’impatto. E questo è stato il segnale del via.
Il rally obbligazionario è stato innescato da un’attenuazione dei timori che le banche centrali possano operare una stretta monetaria eccessiva, dal miglioramento dei dati sul fronte dell’inflazione, dalla sottoesposizione del mercato alla duration e al credito e, infine, dall’aumento dei rendimenti, che hanno reso interessanti questa classe di attivo. Vale la pena notare che anche le azioni hanno messo a segno un mese strepitoso. L’indice S&P 500 è cresciuto di oltre il 14% rispetto ai minimi di ottobre.1
Ma, se le banche centrali stanno moderando le politiche di irrigidimento, non significa forse che nel 2023 si aspettano anche un indebolimento delle economie in misura sufficiente a frenare l’inflazione, giustificando così una politica meno aggressiva? E un rallentamento della crescita non dovrebbe rappresentare un fattore negativo per l’azionario o per il credito in generale? Non necessariamente. Ciò che hanno fatto i mercati è stato scontare un cosiddetto “soft landing”. Vale a dire, una crescita abbastanza lenta da determinare un calo dell’inflazione, ma non così lenta da compromettere in modo significativo gli utili e i ricavi. Le maggiori probabilità di un soft landing sono state confermate dalla convinzione del mercato che, se necessario, la Fed attuerebbe rapidamente una sostanziosa riduzione dei tassi nel 2023/2024. Ai primi di dicembre, il mercato si attende fino a sette tagli dei tassi in tale periodo.
Le banche centrali hanno ristretto la dispersione dei possibili esiti o scenari. Ad esempio, c’è sempre stata la possibilità che la Fed continuasse ad aumentare i tassi fino al 6%. Anche nel caso in cui il mercato ritenesse inattendibile un simile evento, è comunque necessario integrare la possibilità che si verifichi nelle previsioni del futuro tasso base dei Fed Fund. L’orientamento meno restrittivo delle banche centrali ha ridotto le probabilità che possano realizzarsi questi scenari con alti tassi d’interesse, ridimensionando il rischio e la volatilità e facendo aumentare i rendimenti attesi degli attivi rischiosi, tra cui le obbligazioni con duration lunga. Et voilà! Ecco servito il rally, anche se le previsioni principali del mercato per quanto riguarda i tassi per la metà del 2023 non sono cambiate. Se a ciò si aggiungono le aspettative di un taglio dei tassi a medio termine, ecco un rialzo ancor più consistente in tutti i segmenti dell’obbligazionario.
Che questo rally possa continuare o meno, o se non altro che i corsi obbligazionari restino più alti e gli spread creditizi ristretti, è un’altra questione che, in ultima analisi, dipenderà dai dati. Nel frattempo, godiamoci questa strenna anticipata. E speriamo che il Grinch non venga a rubarla!
Prospettive per il mercato obbligazionario
Le attese di una solida performance dell’obbligazionario nel 2023 si sono da poco leggermente ridimensionate dopo il sorprendente e solido rally di novembre. Per quanto valutazioni, posizionamento di mercato e sorprese sul fronte dei dati costituiscano già una base per un significativo recupero, l’andamento di un mese non è sufficiente a determinare un trend. Ma soprattutto, la svolta delle banche centrali in direzione di rialzi meno aggressivi non implica che si possa chiamare il cessato allarme. Si tratta di uno sviluppo ancora possibile? Certo che sì. La performance dei mercati e il flusso delle informazioni fanno aumentare le probabilità di un atterraggio morbido dell’economia e del mercato obbligazionario, ma non crediamo che ai livelli correnti vi sia un numero sufficiente di riscontri concreti da giustificare un approccio rialzista verso i tassi.
Gli investitori sono sempre più convinti che il picco dei tassi sia attualmente scontato nelle curve dei rendimenti. Potrebbe anche rivelarsi di un’ipotesi corretta, ma è comunque poco verosimile. Di fatto, le banche centrali, tra cui la Fed, hanno continuato a sottolineare la necessità di attuare ulteriori rialzi dei tassi o di evitare un taglio prematuro dei tassi, anche se l’inflazione sembra aver raggiunto il picco. Anziché tagliare i tassi nel secondo semestre del 2023, la Fed potrebbe verosimilmente aumentarli qualora i salari/l’inflazione esibissero un comportamento non coerente con le attese. E, a scanso di equivoci, l’inflazione è ancora lontana dai livelli accettabili. Le banche centrali sono consapevoli non solo del rischio di tagliare i tassi prima di un consolidamento del trend disinflazionistico, ma anche del rischio di far ripartire l’inflazione. Ciò che gli investitori devono cercare di capire è quali siano le soglie di aumento richieste. E per quanto tempo sarà necessario sostenere tale situazione. Il ritmo dei rialzi, aspetto che attualmente ossessiona il mercato, è di secondaria importanza. Visti i livelli raggiunti dall’inflazione e lo stato dei mercati del lavoro, il rally basato sui futuri tagli dei tassi negli Stati Uniti appare eccessivamente ottimistico, così come la speranza che i tassi siano sufficientemente elevati da consentire di raggiungere gli obiettivi d’inflazione a medio termine. Non dimentichiamo che non solo l’inflazione deve scendere, ma che le banche centrali devono anche escludere con certezza la possibilità che risalga. Ciò significa che occorre domare anche i fattori sottostanti che determinano l’inflazione e che, come tutti sappiamo, dipendono dai salari e dallo stato del mercato del lavoro.
Nutriamo alcuni dubbi sull’eventualità che le previsioni ottimistiche riguardanti inflazione e crescita si concretizzino con la facilità attesa dal mercato, ma in questo caso si tratta più di ciò che sconta il mercato che non della probabile evoluzione dei fondamentali. Tuttavia, il quadro non è del tutto nero. Le banche centrali hanno compiuto enormi passi avanti nel portare i tassi ufficiali in territorio restrittivo, aumentandoli a un ritmo mai visto negli ultimi 40 anni e contribuendo a far salire sostanzialmente i tassi reali, l’indicatore più importante dell’inasprimento monetario. Il mese scorso, le condizioni finanziarie globali hanno toccato i livelli meno accomodanti da oltre 20 anni a questa parte, se si esclude il periodo della crisi finanziaria globale del 2008. Secondo quanto attualmente scontato dal mercato obbligazionario statunitense, nel primo semestre del 2023 i tassi dei Fed Fund dovrebbero raggiungere un picco del 4,9% circa (in calo di 20 pb dal mese scorso). Nemmeno i membri del FOMC più ardenti sostenitori di un irrigidimento hanno parlato di tassi molto più alti di questi. Il mercato obbligazionario è tornato a generare reddito, rendendo le obbligazioni un investimento molto più interessante di quanto non lo siano state negli ultimi 15 anni o più. A meno che l’inflazione non continui a crescere, si potrebbe iniziare a parlare di picco dei tassi. Tuttavia, alla luce degli ultimi rally dei tassi e degli spread, consigliamo di procedere con prudenza nell’eventuale apertura di nuove posizioni alle valutazioni correnti.
Considerato il rialzo di gran parte dei mercati obbligazionari non statunitensi, manteniamo un approccio prudente. Probabilmente decideremo di ridurre l’esposizione ai tassi d’interesse se i rendimenti dovessero calare ulteriormente. Le valutazioni sono tornate a livelli che non si vedevano dalla primavera e che si presentano basse rispetto ai tassi a breve attuali e futuri. Ciò vale per la maggior parte dei mercati obbligazionari dei paesi sviluppati. A nostro avviso i titoli di Stato britannici e australiani sovraperformeranno. I titoli di Stato denominati in euro continuano a risentire di un’inflazione elevata e tuttora in aumento, di un’economia problematica con rischi amplificati e di una banca centrale che persegue politiche restrittive, ma è in parte vincolata dalle problematiche fiscali interne all’Eurozona, come ad esempio in Italia.
Il mese scorso sostenevamo che le obbligazioni investment grade fossero interessanti, alla luce dei rendimenti relativamente elevati, della combinazione di spread superiori alla media e dei rendimenti elevati dei titoli di Stato. Ma non è più così, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti poiché i rendimenti e gli spread sono sostanzialmente calati. Il segmento investment grade dell’Eurozona si presenta in condizioni migliori poiché i suoi spread si mantengono sopra la media nel lungo periodo. Tuttavia, di fronte al rally del mercato statunitense e alle valutazioni, abbiamo adottato un orientamento più prudente. I mercati creditizi statunitensi si sono spostati verso la fascia più bassa del recente intervallo e attualmente non sono particolarmente interessanti. Il loro spread, che di recente ha toccato i minimi sulla media di lungo termine, dovrebbe spostarsi verso il limite superiore della media per risultare particolarmente vantaggioso. Per il momento, ci aspettiamo che gli intervalli consolidati nel 2022 vengano generalmente mantenuti, il che implica che i differenziali creditizi hanno poco margine di rialzo nel breve termine. Tuttavia, a nostro avviso i fondamentali resteranno solidi, pertanto non vi è motivo di essere particolarmente pessimisti.
Il mercato high yield statunitense è in una posizione abbastanza simile a quella del segmento investment grade. Quest’anno i rendimenti hanno superato le aspettative, sostenuti da una crescita economica ancora robusta, da solidi bilanci (per le società high yield), da bassi tassi d’insolvenza e da una riduzione del 70% delle emissioni, vale a dire un quadro tecnico decisamente positivo. Gli spread si trovano inoltre prossimi ai minimi dell’intervallo di fine 2022 e sono quindi meno interessanti. Soprattutto, non riteniamo che i rischi di un atterraggio duro siano sufficientemente scontati, benché questa non costituisca la nostra previsione centrale. D’altro canto, non ci aspettiamo un ampliamento degli spread superiore a quanto suggerisce il loro andamento recente. Noi compriamo sui ribassi. Il mercato statunitense dei titoli ipotecari di agenzia ha generato risultati positivi, con performance in linea se non superiori a quelle delle obbligazioni societarie investment grade. Pertanto, non lo riteniamo più indiscutibilmente appetibile e riteniamo che le posizioni debbano essere ridimensionate. Altri settori cartolarizzati (CMBS, ABS) continuano a sembrare convenienti secondo la maggior parte dei parametri. Il dollaro USA sembra aver raggiunto il picco, avendo perso parecchio terreno rispetto alla maggior parte delle valute negli ultimi due mesi. Un ulteriore apprezzamento dovrebbe risultare più difficile a meno che una nuova valutazione della politica monetaria statunitense non escluda un taglio dei tassi attuali nel 2023 e 2024. Le obbligazioni dei mercati emergenti diventano sempre più attrattive e ci aspettiamo una sovraperformance dei mercati in valuta locale e delle valute. I differenziali di rendimento reali dei Treasury USA restano a livelli storicamente elevati. La riapertura della Cina dovrebbe avere ricadute molto positive sui mercati emergenti in generale e favorire l’economia globale. L’aspetto negativo sarebbe rappresentato dal fatto che un rafforzamento dell’economia cinese potrebbe complicare la vita alle banche centrali dei paesi sviluppati impegnate nel tentativo di rallentare l’inflazione. Il debito estero dei mercati emergenti resta il segmento da noi meno apprezzato nell’ambito dell’obbligazionario emergente. Restiamo pazienti e manteniamo un posizionamento prudente su tutti i fronti.
Tassi d’interesse e di cambio dei mercati sviluppati
Analisi mensile
I tassi dei mercati sviluppati hanno continuato a seguire la traiettoria tracciata a fine ottobre, vale a dire flessione dei rendimenti e appiattimento delle curve dovuto all’abbassamento dell’estremità lunga avvenuto a novembre. In occasione della riunione di novembre la Fed ha innalzato i tassi per la quarta volta consecutiva a 75 pb, ma l’idea che le banche centrali stiano iniziando a rallentare il ritmo degli aumenti continua ad essere un tema chiave. Gli istituti centrali hanno infatti già operato una stretta significativa e alcuni dati indicano che l’inflazione sta rallentando. Tuttavia i dati sulla crescita sono incerti. Il dollaro USA ha generalmente perso terreno, in quanto i mercati hanno iniziato a scontare una stretta delle banche centrali meno aggressiva.2
Prospettive
La Fed ha recentemente indicato una possibile riduzione del ritmo degli aumenti a 50 pb in occasione della riunione di dicembre. Tuttavia gli interrogativi più scottanti in questo momento sono altri e cioè quale picco raggiungeranno i tassi e quanto a lungo si manterranno a quel livello. A nostro avviso, il picco scontato attualmente dal mercato è inferiore a quello che verosimilmente verrà toccato e sembra anche improbabile che la Fed tagli i tassi prima del finire del 2023, a meno che l’economia non entri in forte recessione. I dati sull’inflazione e sul mercato del lavoro indicano che è in atto un surriscaldamento dell’economia, quindi sussiste il rischio di un aumento dei rendimenti. Sui mercati valutari, il valore del dollaro statunitense è molto elevato, quindi è probabile un generale deprezzamento del biglietto verde a meno che gli investitori non temano l’insorgere di una recessione dovuto alle politiche di irrigidimento attuate delle banche centrali.
Tassi d’interesse/tassi di cambio dei mercati emergenti
Analisi mensile
Il debito dei mercati emergenti ha evidenziato una netta inversione a novembre quando i mercati hanno condiviso la tesi che sia l’inflazione sia la politica restrittiva della Fed avevano raggiunto il limite massimo e che la Cina può iniziare ad allentare le politiche anti-Covid e a incrementare il sostegno al settore immobiliare in crisi. Inoltre, i differenziali di crescita previsti tra mercati emergenti e mercati sviluppati si sono ampliati e i persistenti deflussi da questa classe di attivo si stanno attenuando.3
Prospettive
In questo momento manteniamo un orientamento generalmente positivo sul debito dei mercati emergenti, grazie a un calo delle incertezze sul versante macro, al miglioramento dei fondamentali, al rientro dei fattori tecnici e alle valutazioni tuttora interessanti. Continuiamo a porre l’accento sulla differenziazione tra i vari paesi e titoli di credito.
Credito societario
Analisi mensile
Gli spread dei titoli investment grade europei hanno sovraperformato i corrispettivi statunitensi nel rally di questo mese, grazie all’andamento positivo dei flussi di notizie. In generale, questo è stato il secondo mese in cui si è assistito a una compressione dello spread. I titoli finanziari subordinati hanno sovraperformato quelli non finanziari, il segmento BBB ha sottoperformato le fasce di rating più alte e i differenziali delle obbligazioni a breve scadenza si sono ristretti meno di quelli a lunga scadenza. Dopo la pubblicazione dei risultati societari per il terzo trimestre, gli utili sono risultati contrastanti, ma in generale migliori del previsto.4
Nei primi giorni di novembre, il mercato high yield ha evidenziato una moderata debolezza, per poi mettere a segno un ottimo andamento nelle 3 settimane successive. Nel terzo trimestre, gli utili degli emittenti high yield hanno mediamente continuato a superare aspettative molto modeste mentre le condizioni tecniche nel mercato high yield sono state sostanzialmente favorevoli. A novembre, i segmenti di mercato di qualità inferiore hanno in generale continuato a sottoperformare. Nel mese, i settori che hanno registrato le performance migliori sono stati gioco d’azzardo, banche ed edilizia residenziale.5
In un contesto macro in miglioramento, le obbligazioni convertibili globali hanno messo a segno un rialzo per il secondo mese consecutivo. I titoli convertibili (+3,49%) hanno accumulato un ritardo rispetto ad altri attivi rischiosi, come quelli misurati dall’MSCI Global Equities (+7,60%) e dal Bloomberg Global Credit (+5,80%), in quanto, dopo un anno di correzioni e di scarsa offerta di titoli at-the-money, le opzioni azionarie in essi incorporate sono out-of-the-money. Novembre ha tuttavia portato una nota positiva, come evidenziano le nuove emissioni per 7,2 miliardi di dollari, ed è risultato il mese migliore dell’anno sul piano dell’offerta.6
Prospettive
Le valutazioni di mercato continuano a scontare prospettive di declassamento e insolvenze, estremamente negative per le obbligazioni societarie. Secondo il nostro scenario di base l’investimento nel credito è remunerativo poiché riteniamo che i fondamentali societari siano solidi. Consideriamo che negli ultimi trimestri le imprese abbiano accumulato riserve liquide. Ci attendiamo una contrazione dei margini e pressioni sui ricavi, ma riteniamo che le società riusciranno a superare un’eventuale fase di debolezza senza eccessivi declassamenti o insolvenze (scenario di base di insolvenze limitate e moderata recessione).
Nel mercato high yield, i fondamentali societari sembrano tuttora mostrare una certa capacità di tenuta e il mercato si avvicina al 2023 con un profilo di relativa solidità. Tuttavia, i solidi fondamentali attuali potrebbero indebolirsi nel corso dell’anno a venire.
Prevediamo che nel 2023 le obbligazioni convertibili invertiranno radicalmente la rotta grazie a valutazioni tecniche interessanti, al potenziale di ripresa dell’azionario e a prospettive più solide per il calendario delle emissioni primarie.
Prodotti cartolarizzati
Analisi mensile
A novembre i tassi sono saliti e gli spread si sono ristretti, determinando la migliore performance mensile dell’anno per quasi tutti gli attivi obbligazionari. Tuttavia, i settori del credito cartolarizzato hanno sottoperformato rispetto a molti altri mercati del credito. Questo perché gli spread cartolarizzati hanno subito una contrazione minore e gli attivi cartolarizzati tendono ad avere duration e spread duration più brevi. Gli spread degli MBS di agenzia a cedola corrente si sono ristretti e a novembre il rendimento dell’indice Bloomberg U.S. Agency MBS è stato del 4,08% (-11,42% da inizio anno). Nello stesso mese, gli spread degli RMBS non di agenzia statunitensi si sono ristretti, anche se in misura leggermente inferiore rispetto ad altri mercati del credito. Anche gli spread degli ABS statunitensi si sono ristretti a novembre, favoriti dalla mancanza di nuove emissioni e da volumi di vendita inferiori sul mercato secondario. Nel mese, gli spread dei CMBS statunitensi hanno seguito a ruota e si sono ristretti, ma i fondamentali del credito rimangono critici in molti mercati degli immobili commerciali, in particolare quello dei centri direzionali e quello dei negozi al dettaglio. A novembre i mercati europei delle cartolarizzazioni si sono ripresi, grazie al rallentamento delle forti svendite del mese precedente (principalmente dovute alla crisi degli investimenti LDI dei fondi pensionistici britannici).7
Prospettive
Nel complesso continuiamo a considerare positive le prospettive fondamentali sul credito, pur avendo iniziato ad adottare un orientamento più prudente. Gli spread creditizi di numerosi settori cartolarizzati rimangono a livelli che si erano visti l’ultima volta all’inizio della pandemia, ma le condizioni del credito appaiono oggi decisamente migliori rispetto a quel periodo. Pur ritenendo probabile una recessione nel 2023 sia negli Stati Uniti che in Europa, crediamo anche che dopo la grande crisi finanziaria il mercato delle cartolarizzazioni sia stato strutturato in modo tale da resistere a tensioni di livello pari a quello osservato in occasione di quella crisi e siamo dell’avviso che questi titoli possano resistere senza problemi a uno scenario di recessione non eccessivamente grave.