Approfondimenti
2022: Arrivederci, addio, amen!
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Global Fixed Income Bulletin
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dicembre 31, 2022
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dicembre 31, 2022
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2022: Arrivederci, addio, amen! |
Il 2022 si è concluso col botto, ma non in senso positivo. Il mese di dicembre è stata la degna conclusione di un anno terribile sia per il comparto obbligazionario che per le attività finanziarie in generale, ed è stato caratterizzato da un’ulteriore impennata dei tassi. L’ottimismo derivante dal rallentamento dell’inflazione, dall’indebolimento della crescita e dalla moderazione delle politiche monetarie si è rivelato illusorio. Le principali banche centrali, la Fed, la Banca centrale europea e la Banca d’Inghilterra hanno alzato i tassi di 50 punti base (pb). La BCE ha sottolineato che gli interventi non termineranno qui data la previsione di un’inflazione pluriennale ancora superiore al target. Sembra che la Fed abbia fatto dei passi indietro rispetto ai commenti espressi a novembre, in cui affermava di voler aspettare gli effetti sull’economia della stretta monetaria già attuata, prima di impegnarsi in un ulteriore rialzo dei tassi. Ma il cambio di direzione è stato palese. Non sorprende come le obbligazioni europee siano state particolarmente colpite, con i tassi decennali francesi che hanno messo a segno un rialzo di oltre 70 pb, seguiti da quelli tedeschi. I Treasury statunitensi hanno registrato performance discrete, con i rendimenti decennali in rialzo di soli 27 pb. Nel corso del mese, i mercati creditizi hanno seguito un andamento opposto, risentendo della lieve compressione del mercato creditizio europeo e dei titoli investment grade statunitensi. L’high yield statunitense è stata l’unica eccezione, registrando un ampliamento di oltre 20 punti rispetto ai principali indici. Anche i mercati dei titoli cartolarizzati hanno registrato una performance positiva in termini di spread, stando al passo con i rialzi messi a segno dai mercati del credito societario. Il comparto azionario, a seguito dello straordinario rally registrato tra fine estate e inizio autunno, ha accusato un forte peggioramento, evidenziato da una riduzione dello S&P 500 di quasi il 6% su base mensile.
Perchè i rendimenti sono aumentati in maniera così significativa? Sono diversi i fattori da considerare. Innanzitutto, la conferma dell’orientamento restrittivo da parte delle banche centrali. Sarebbe stato un desiderio velleitario più che una previsione basata su fatti concreti, l’aspettativa di un orientamento più accomodante da parte della Fed e dalla BCE. Purtroppo non è stato così. In secondo luogo, tra lo stupore generale, vi è stata la decisione della Banca del Giappone (BoJ) di correggere la politica di controllo della curva dei rendimenti (YCC), aumentando da 25 a 50 pb il livello massimo di oscillazione dei titoli di Stato (JGB) decennali. Pur non trattandosi di una modifica rilevante in termini assoluti, ha avuto un effetto significativo viste, soprattutto, le previsioni attese. La mossa lascia intuire come nel 2023 potranno essere previste ulteriori correzioni, sia in termini di obiettivi lungo la curva dei rendimenti, che di politica monetaria convenzionale. Ciò porta ad un aumento dell’attrattivà dei titoli di Stato giapponesi per gli investitori locali, che potrebbero scegliere di investire meno capitale nei mercati esteri. Questo timore, sommandosi alle preoccupazioni suscitate dall’impossibilità di quantificare la stretta monetaria che un’altra importante banca centrale si accinge ad avviare, ha incrementato l’ansia e la volatilità dei mercati.
Al nervosismo generato dalle decisioni delle banche centrali, si sono aggiunti gli effetti di altre dinamiche. La Cina ha interrotto il perseguimento della strategia “zero-Covid” per spingersi verso un approccio privo di restrizioni. Si prevedeva che ciò sarebbe accaduto nel 2023 in maniera graduale. Il cambio di orientamento potrebbe avere un impatto negativo sulla crescita nel breve termine, accellerando tuttavia la riapertura dell’economia, stimolando la crescita sia domestica che estera e allentando le pressioni disinflazionistiche globali. Il comparto azionario cinese ha reagito in maniera positiva al nuovo assetto, alimentando l’ottimismo sulle capacità di crescita dell’economia.
L’evolversi della situazione in Cina e in Giappone ha avuto ripercussioni particolarmente negative sulle obbligazioni denominate in dollari australiani. La banca centrale australiana (RBA), attraverso il sostegno al mercato obbligazionario nazionale, era classificata come una delle banche centrali più accomodanti del G10. Tuttavia, la riapertura della Cina e la correzione delle politiche monetarie della Banca del Giappone hanno generato un certo nervosismo nel mercato obbligazionario australiano, causando un aumento dei rendimenti decennali australiani superiore a 50 punti base e invertendone la performance, precedentemente positiva, rispetto ai Treasury statunitensi.
Un altro sviluppo degno di nota nel mese di dicembre è stata la perdurante debolezza del dollaro statunitense. L’effetto combinato delle valutazioni, del maggiore irrigidimento delle altre banche centrali (BCE e BoJ, in particolare) e di una crescita continua e soddisfacente fuori degli Stati Uniti, ha favorito le economie non statunitensi, impattando negativamente il comparto obbligazionario e positivamente quello valutario. Riteniamo che l’indebolimento del dollaro sia un segnale importante che dimostra come il peggio sia ormai passato, sia per l’economia globale che, soprattutto, per i mercati emergenti.
Ci sono delle buone notizie: i rendimenti sono cresciuti rispetto ai livelli di fine novembre (e a maggior ragione rispetto ai livelli d’inizio 2022), generando ottimismo sulle aspettative di performance per il 2023; il dollaro statunitense ha iniziato a perdere terreno; e gli spread creditizi si sono significativamente ampliati rispetto alla prima parte del 2022. E per la prima volta dal 2014, i titoli obbligazionari con rendimento negativo sono adesso pari a zero. Si tratta di un traguardo importante che consente al comparto obbligazionario di tornare ad essere redditizio e a fornire una protezione in caso di sorprese negative. Per ottenere un simile risultato, ci sono voluti “solamente” un sell-off da record e i rendimenti peggiori degli ultimi 100 anni. Possano i rendimenti negativi essere soltanto un lontano ricordo.
Prospettive per il mercato obbligazionario
L’inizio del 2023 definisce un contesto più solido e sicuro per il mercato obbligazionario. I rendimenti sono sensibilmente più elevati e gli spread si sono ampliati, lasciando presagire una migliore performance per il 2023 e una protezione in caso di sorprese negative inaspettate. Anche se quest’anno i rendimenti dei titoli di Stato dovessero salire, è improbabile che aumentino al livello tale da compensare il proprio carry/redditività. E’ molto raro che il mercato obbligazionario realizzi una performance negativa per due anni consecutivi. Ma il 2022 è stato un anno particolare. Fare congetture sulla base degli eventi dell’anno appena passato può rivelarsi un’impresa difficile.
Il ciclo di inasprimento delle politiche monetarie globali si concluderà probabilmente entro il primo semestre, riducendo in modo significativo le incertezze su questo fronte. La dispersione, che probabilmente caratterizzerà i tassi di riferimento rispetto alle aspettative previste, sarà molto più bassa nel 2023, ad esempio il tasso dei Fed Fund si attesterà al 4,75% o al 5,25%.
Le incertezze permangono, ma riguardano principalmente la recessione piuttosto che l’inflazione e gli esiti delle politiche monetarie. La risposta alla domanda “Quanto sarà duro l’atterraggio delle economie nel 2023?” determinerà la direzione e l’entità delle oscillazioni dei tassi e degli spread. Gli eventi dell’anno scorso hanno fatto emergere come gli shock inflazionistici abbiano ricadute negative su quasi tutti gli asset finanziari. L’inflazione ai massimi decennali ha imposto tassi d’interesse ai massimi decennali. I tassi d’interesse elevati aumentano i rendimenti reali, minando le valutazioni creditizie e azionarie. Dato che fino ad adesso non c’era mai stato un anno negativo sia per il mercato azionario che obbligazionario, il 2023 potrà solo essere migliore.
Noi crediamo di sì. I tassi sono molto più alti e più vicini alle medie pre-pandemia. Prevediamo che nel 2023 il comparto obbligazionario registrerà performance migliori. Non nutriamo alcun dubbio sul fatto che l’obbligazionario tornerà di moda, dato il livello dei rendimenti, le perduranti incertezze sul comparto azionario e le probabilità di un notevole calo della dispersione tra gli esiti possibili.
Il primo elemento d’incertezza riguarda l’entità del rialzo dei tassi da parte delle banche centrali. La buona notizia è che qualunque intervento attuato dalle banche centrali sarà di portata nettamente inferiore rispetto a quelli del 2022 e che, sopratutto, gran parte dei rialzi sono già stati scontati. Molte banche centrali dei mercati emergenti hanno ormai concluso i rispettivi cicli di rialzo ritenendo sufficienti le misure restrittive adottate fino a questo momento. Come conseguenza, gli shock legati alle politiche monetarie saranno molto più contenuti. I mercati, tuttavia, mantengono un orientamento più accomodante rispetto alle banche centrali, creando i presupposti per sorprese negative inaspettate.
Ad esempio, sebbene il picco del tasso sui Fed Fund prospettato dal mercato sia inferiore di soli 25 punti base a quello previsto dalla Fed, c’è una notevole differenza di vedute. La Fed ritiene che tale valore, pari a circa il 5%, sia probabilmente una soglia minima, mentre il mercato ritiene che non solo sia una soglia massima, ma che scenderà in modo significativo tra la fine del 2023 e il 2024. Se la Fed ha fatto delle previsioni corrette, ovvero se l’economia statunitense si rivelerà più forte e/o l’inflazione rimarrà elevata, il mercato obbligazionario statunitense dovrà procedere a una correzione. Con ogni probabilità i rendimenti dei Treasury decennali statunitensi tornerebbero a superare il 4%. La buona notizia è che lo sviluppo negativo consisterebbe, al massimo, in un aumento di 50 punti base. Si tratta di un aumento di gran lunga inferiore rispetto al 2022 e meno dannoso per la performance, considerati i rendimenti di partenza più elevati. Un’analisi simile è prevista per la maggior parte dei mercati obbligazionari dei paesi sviluppati.
È probabile che le banche centrali abbiano adottato tutti gli accorgimenti necessari a rallentare la domanda aggregata in misura sufficiente a consolidare il trend disinflazionistico. Le banche centrali hanno compiuto grandi progressi nel portare i tassi di riferimento in territorio restrittivo, aumentandoli ad un ritmo mai registrato negli ultimi 40 anni e contribuendo all’aumento dei tassi reali, considerati l’indicatore più importante dell’inasprimento monetario.
La principale divergenza di vedute tra il mercato e la Fed riguarda la durata del periodo di permanenza dei tassi al 5%. È nell’interesse della Fed confermare l’irrigidimento delle condizioni finanziarie durante la fase disinflazionistica. Il mercato però ritiene, e la storia lo conferma, che la Fed invertirà il suo orientamento non appena l’inflazione sarà scesa intorno al 2% e/o l’espansione mensile dei posti di lavoro passerà in territorio negativo. La conseguenza di ciò sarà inevitabilmente l’aumento dei rendimenti nel lungo termine. Il rischio maggiore è rappresentato dal perdurare dell’inflazione ostinata e del livello dei salari.
Il segmento obbligazionario su cui siamo più ottimisti è rappresentato dal mercato delle cartolarizzazioni, nonostante gli elevati tassi d’interesse e i rischi di recessione che caratterizzano gli Stati Uniti e l’Europa. Il mercato cartolarizzato è costituito principalmente da titoli garantiti da ipoteche residenziali e commerciali e da titoli garantiti da collaterale. I relativi rendimenti sono raddoppiati rispetto all’anno scorso e gli spread sono notevolmente più ampi rispetto ai mercati del credito societario (ad eccezione delle obbligazioni societarie con rating CCC). Riteniamo che le preoccupazioni nei confronti del mercato creditizio siano superflue, in quanto i tassi (per effetto della compressione degli spread o del calo dei rendimenti dei titoli di Stato) chiuderanno il 2023 al ribasso. Nell’ambito del credito cartolarizzato, privilegiamo i mutui residenziali non di agenzia, nonostante si prospetta un probabile calo dei prezzi delle abitazioni statunitensi nel 2023. Privilegiamo il mercato statunitense a quelle europeo, date le valutazioni ed i rischi economici, tra cui quelli politici.
Nel 2022, i mercati del credito societario hanno registrato la peggiore performance di sempre. Alle valutazioni attuali, le obbligazioni investment grade non appaiono né costose né convenienti. Per contro, i livelli dei rendimenti sembrano interessanti per gli investitori. Pur non ritenendo che gli spread creditizi investment grade si abbasseranno significativamente nel 2023, il rendimento offerto fornisce una buona protezione dal rischio di shock da tassi di interesse o persino da una lieve recessione, vista la solida base di partenza dei fondamentali societari. Noi acquistiamo durante i periodi di ribasso.
Un’analisi simile supporta il credito high yield, pur comportando un rischio maggiore derivante da una possibile recessione nel 2023. Non prevediamo un rischio di recessione tangibile ma ci attendiamo una crescita lenta o inferiore al trend, con un aumento graduale della disoccupazione. È probabile che si verifichi un aumento, non esponenziale, dei tassi di insolvenza, come avverrebbe nel caso di una recessione tradizionale. Qualora si verificasse uno scenario recessivo, si presenterà probabilmente con caratteristiche diverse, dato il contesto di forte crescita del PIL nominale e dei salari. Dal momento che gli indici high yield si attestano circa al 9%, c’è un ampio margine di allargamento per gli spread e per la generazione di rendimenti attorno al 5% o superiori. Inoltre, sarebbe inconsueto assistere a due anni consecutivi di rendimenti negativi per l’high yield.
Il dollaro statunitense sembra aver raggiunto il picco. Un ulteriore indebolimento potrebbe richiedere del tempo, in particolare se la Fed dovesse confermare l’intenzione di NON tagliare i tassi nel 2023. L’obbligazionario dei mercati emergenti (ME) sta diventando sempre più interessante con l’aspettativa di una sovraperformance dei mercati in valuta locale ed estera. I differenziali di rendimento reali dei Treasury USA si attestano su livelli storicamente elevati. La riapertura della Cina dovrebbe rappresentare un aspetto positivo per i mercati emergenti e per l’economia globale. Il rafforzamento dell’economia cinese, tuttavia, potrebbe ostacolare le banche centrali dei paesi sviluppati nel loro tentativo di rallentare l’inflazione. Il debito estero dei mercati emergenti resta il segmento meno favorito nell’obbligazionario emergente.
Tassi d’interesse e tassi di cambio dei mercati sviluppati
Analisi mensile
Il 2022 si è concluso con un livello più elevato dei tassi dopo un ribasso generalizzato nel mese di dicembre, in quanto i dati sull’economia sono rimasti relativamente incoraggianti, le banche centrali hanno manifestato l’intenzione di proseguire la politica restrittiva e il Giappone ha corretto la politica di controllo della curva dei rendimenti. Il tasso statunitense a 10 anni ha chiuso al 3,88%, circa 225 pb in più rispetto al livello di inizio anno. Nel corso del mese, la Fed ha rallentato il ritmo dei rialzi dei tassi, aumentando il tasso di riferimento di 50 pb. Anche BoC, SNB, BoE e BCE hanno optato per rialzi di 50 pb. La BoJ, in particolare, ha sorpreso i mercati correggendo la politica di controllo della curva dei rendimenti, portando da 25 a 50 pb la deviazione ammessa rispetto all’obiettivo dello 0% per i tassi a 10 anni. Come conseguenza, i titoli di Stato giapponesi, non più vincolati, hanno subito un brusco arretramento, allineandosi ai fondamentali, mentre lo yen giapponese si è rafforzato.1
Prospettive Sebbene la Fed abbia ufficialmente rallentato il ritmo dei rialzi, è sicuramente più importante capire quale sarà l’evoluzione dei tassi in futuro. L’entità e la durata dei rialzi dei tassi da parte delle banche centrali dipenderanno principalmente dal profilo della crescita e dall’andamento dell’inflazione. Riteniamo che il valore di mercato dei tassi si avvicini al fair value. Tuttavia, le banche centrali hanno chiaramente indicato la propria intenzione di mantenere i tassi elevati e anche se l’inflazione continuerà a scendere rispetto al picco precedente, i dati riguardanti l’inflazione e il mercato del lavoro continuano a indicare un surriscaldamento dell’economia. Se tale situazione dovesse persistere, l’inflazione potrebbe attestarsi su livelli più alti di quelli che le banche centrali ritengono accettabili. Di conseguenza, sussiste ancora il rischio di un ulteriore, leggero rialzo dei tassi. Il dollaro statunitense ha beneficiato della svolta restrittiva della Fed e dei crescenti timori per la crescita globale. Ciò nonostante, il trend di rafforzamento del dollaro si è arrestato e negli ultimi due mesi ha iniziato a invertire la rotta. A nostro avviso, vi è la possibilità che il dollaro continui a indebolirsi.
Tassi d’interesse/tassi di cambio dei mercati emergenti
Analisi mensile Nel mese di dicembre, il debito dei mercati emergenti (EMD) ha continuato la sua ripresa grazie a un orientamento meno restrittivo da parte della Fed e all’indebolimento del dollaro statunitense. A inizio mese la Cina ha annunciato una retromarcia sulla politica “zero-Covid”, che i mercati hanno accolto favorevolmente. È proseguita la ripresa dei fattori tecnici poiché i flussi in valuta forte sono passati in territorio positivo mentre quelli in valuta locale sono rimasti stabili.2
Dopo il forte rally di fine anno, riteniamo che nel 2023 il debito dei mercati emergenti possa offrire performance positive. Scorgiamo opportunità interessanti, in particolare nei tassi locali, in quanto gli spread sui rendimenti reali tra i mercati emergenti e i mercati sviluppati rimangono prossimi ai massimi storici. I fondamentali continuano a migliorare, i fattori tecnici si stanno rivelando positivi e le valutazioni rimangono interessanti. L’abbandono della politica “zero-Covid” da parte della Cina e l’annuncio di un sostanzioso sostegno al settore immobiliare favoriranno la crescita e probabilmente avranno ricadute sul più ampio universo dei ME.
Credito societario
Analisi mensile Gli spread dei titoli europei hanno sovraperformato quelli dei titoli statunitensi investment grade nel rally mensile, grazie a un flusso di notizie considerate positive, in particolare quelle legate ai commenti delle banche centrali da parte dei mercati e alla possibilità di una riapertura in Cina. Il principale impulso al rally mensile è stata la compressione degli spread swap, in cui lo spread a 10 anni è sceso di 9 pb chiudendo a +64 pb. L’iTraxx Europe, al contrario, ha registrato una sottoperformance con un aumento di 3 pb nel corso del mese, chiudendo a +91 pb e determinando una sottoperformance degli strumenti derivati rispetto alla liquidità.3
L’andamento positivo del mercato high yield statunitense e globale è proseguito anche nelle prime due settimane di dicembre, per poi affievolirsi dopo la riunione mensile della Fed. Inoltre, sempre a dicembre il rapporto tra domanda e offerta si è indebolito sulla scia dei nuovi disinvestimenti dai fondi retail nella seconda metà del mese. A dicembre, i segmenti di mercato di qualità inferiore hanno continuato a sottoperformare. Nel mese, i settori più performanti sono stati quello delle banche, degli industriali e delle assicurazioni.4
Nel periodo, i titoli convertibili globali hanno perso terreno sulla scia di un aumento dei contagi Covid, come evidenziato dalla flessione dell’1,71% dell’indice Refinitiv Global Convertibles Focus. La performance dei titoli convertibili globali si colloca a cavallo tra quella dell’azionario globale e dell’obbligazionario globale, registrando la peggiore performance dal 2008.
Consideriamo l’investimento creditizio remunerativo in quanto riteniamo che i fondamentali societari siano solidi e che il contesto macroeconomico migliorerà grazie ai cambi di direzione della politica monetaria e alla riapertura della Cina. Riteniamo che le imprese abbiano accumulato riserve liquide grazie alle misure di contenimento dei costi introdotte durante la pandemia. Ci attendiamo una contrazione dei margini e ulteriori pressioni sui ricavi (come dimostrano i dati del terzo trimestre), tuttavia, dato il livello di partenza, riteniamo che le società riusciranno a superare la crisi senza eccessivi declassamenti o insolvenze (lo scenario di base fa riferimento a insolvenze limitate e recessione moderata).
Nel mercato high-yield, l’ampliamento degli spread sembra profilarsi come lo sviluppo futuro più plausibile, dato il rialzo del tasso terminale dei Fed Fund, l’inasprimento delle condizioni di liquidità globale e finanziarie e il rallentamento della crescita economica mondiale.
I fattori che favoriranno i titoli convertibili nel 2023, saranno un mercato pronto a riprendersi dai minimi obbligazionari e un forte impulso all’emissione di nuovi titoli bilanciati, dal momento che i tassi continuano a salire.
Prodotti cartolarizzati
Analisi mensile Nel mese di dicembre, gli spread degli MBS di agenzia non hanno subito variazioni, mentre quelli del credito cartolarizzato si sono contratti. Gli spread del credito cartolarizzato hanno sottoperformato rispetto alla maggior parte delle obbligazioni societarie, a causa della contrazione registrata nel quarto trimestre; tuttavia continuano a risultare interessanti in termini di valore relativo. L’offerta di nuove emissioni cartolarizzate rimane molto bassa, poichè la sottoscrizione di prestiti sia residenziali che commerciali ha registrato un riduzione sostanziale. I fondamentali del credito cartolarizzato rimangono stabili: le insolvenze stanno aumentando lentamente, mantenendosi ad un livello storicamente basso e, per la maggior parte degli attivi cartolarizzati, non sembrano mettere in pericolo gli elevati livelli di protezione del credito strutturale. Dopo il picco di giugno, i prezzi delle abitazioni statunitensi sono scesi circa del 5%.5
Restiamo ottimisti sulle prospettive fondamentali per il mercato del credito. Nel 2023, ci aspettiamo un ulteriore calo dei prezzi delle case del 5-10%. Pur attendendoci un calo dei prezzi delle abitazioni, continuiamo a favorire il credito residenziale statunitense, in particolare i mutui di più lungo corso (accesi nel 2020 o prima) dato il notevole apprezzamento dei prezzi delle case negli ultimi anni. Restiamo più prudenti nei confronti del settore immobiliare commerciale, che continua a risentire negativamente degli sviluppi post-pandemici e potrebbe trovarsi in difficoltà in caso di recessione. Continuiamo a favorire i titoli statunitensi a quelli europei poiché le opportunità su base corretta per il rischio sembrano più interessanti negli Stati Uniti. Gli spread dei titoli cartolarizzati statunitensi ed europei sono equiparabili in classi di attivo simili, ma in Europa i rischi di una recessione più accentuata sembrano maggiori.